Cenni sull’oggetto di meditazione: Priorità degli oggetti
All’inizio della pratica meditativa, lo yogi riceve un oggetto
di meditazione. In lingua Pali si
chiama kammatthana, che letteralmente significa “luogo di
lavoro/attività”, esso è il “terreno” per la coltivazione degli stati mentali
della concentrazione e della visione profonda.
In
genere rappresenta l’oggetto principale
su cui lavoriamo e che chiameremo “oggetto primario”. Durante l’attività di osservazione altri fenomeni si presentano alla nostra attenzione: questi costituiscono gli oggetti secondari.
su cui lavoriamo e che chiameremo “oggetto primario”. Durante l’attività di osservazione altri fenomeni si presentano alla nostra attenzione: questi costituiscono gli oggetti secondari.
Molto spesso negli
yogi nascono dei dubbi rispetto all’oggetto sul quale meditare. Può darsi che
l’oggetto primario scompaia, che sia stato messo in ombra o che più oggetti si
presentino contemporaneamente.
L’oggetto che
scegliamo di osservare deve essere stabilito in base a precise ragioni, perchè
è l’oggetto relativo alla meditazione di visione profonda che costituisce la
nostra pratica.
In primo luogo,
l’oggetto primario deve essere l’oggetto più facile per lo sviluppo della
presenza mentale e della concentrazione. Nel nostro caso usiamo prevalentemente
il “sollevarsi-abbassarsi” dell’addome. Questo oggetto è stato scelto tra gli
oggetti fisici grossolani e continua ad essere l’oggetto primario della
meditazione di visione profonda come viene praticata nella tradizione di Mahasi
Sayadaw. In altre tradizioni si usa il respiro che entra e esce dalle narici
oppure l’osservazione delle sensazioni nel corpo. Diciamo che ogni oggetto
primario tra quelli appena citati ha una sua funzionalità peculiare:
- L’osservazione del respiro alla base del naso, dirigendo l’attenzione e l’osservazione ad un’area abbastanza circoscritta, è più adatto allo sviluppo della concentrazione rispetto alla consapevolezza. Spesso viene utilizzato nei primi giorni dei ritiri proprio per la sua efficacia, in quanto la concentrazione calma la mente. Le sensazioni in questo caso sono generalmente più sottili e spesso non facili da intercettare.
- L’osservazione del movimento di salita e discesa dell’addome, pur essendo qualcosa che avviene in conseguenza della respirazione, viene osservato come movimento. Essendo localizzato in un’area più ampia rispetto alla base del naso offre il vantaggio di un maggior numero di sensazioni su cui mantenere l’osservazione e generalmente consente uno sviluppo bilanciato tra concentrazione e consapevolezza.
- L’osservazione della postura, ovvero delle sensazioni nel corpo e nei punti di contatto, di solito si effettua muovendo la presenza mentale dall’alto verso il basso e viceversa. Ha il vantaggio di fornire un grande numero di sensazioni su cui portare l’attenzione; in questo caso è la consapevolezza ad esserne avvantaggiata rispetto alla concentrazione.
Come vedete
abbiamo la possibilità di scegliere gli oggetti anche in relazione alle
“caratteristiche di utilità”.
Ora quello che
lo yogi deve fare è rimanere sull’oggetto prescelto in modo rilassato,
seguendolo e osservandolo con una presenza mentale ininterrotta, con semplicità
e senza eccessivo sforzo, in modo da evitare tensioni e cercando di osservare
tutto ciò che si sperimenta a livello di sensazioni fisiche e mentali. Mentre
stiamo sull’oggetto primario possono presentarsi anche altri oggetti che
chiamiamo oggetti secondari: possono
essere dapprima pensieri e agitazione mentale, sonnolenza e torpore, rumori o
altre sensazioni corporee, quali sensazioni di disagio o dolori. Se sono
leggeri, si possono ignorare, oppure possiamo notarli/etichettarli per poi
tornare all’oggetto primario.
Durante la pratica
si possono presentare dei fenomeni mentali definiti come impedimenti (ovvero stati mentali che turbano il flusso della
consapevolezza) che, specie nel caso dei principianti, possono essere l’“agitazione mentale” e “torpore, sonnolenza e pigrizia”.
Questi
impedimenti vanno affrontati risolutamente perchè se riusciamo a vincerli sul
nascere, quando sono deboli, non dovremo subirne in seguito i pesanti attacchi,
perdendo del tempo prezioso e ricominciando ogni volta daccapo. Questi impedimenti
vanno affrontati come importanti priorità, perché in loro presenza non c’è
consapevolezza o, se essa è presente, ne verrà indebolita. In questo caso la
notizia buona è che dato che tutto è transitorio prima o poi anche gli impedimenti cesseranno, la notizia meno buona
è che a quel punto dovremo ricominciare il nostro lavoro di sviluppo della
consapevolezza.
Altro tema
cruciale è quello del “predominio”, ovvero il caso di un altro oggetto che interferisce e predomina sull’oggetto
primario, che prima o poi ne viene cancellato. Se è possibile rimanere
sull’oggetto primario, anche se è diventato più fine e sottile, mantenete
questo oggetto; se invece non riuscite a mantenerlo verrà in primo piano il
prossimo oggetto predominante. Il più delle volte si tratta di sensazioni
dolorose o comunque di sensazioni fisiche: ad esempio un suono (senso dell’udito)
può diventare predominante se il rumore è molto forte, o lo stesso può accadere
con un oggetto visibile (senso della vista), mentre stiamo camminando.
Se due oggetti
competono per il predominio, bisogna considerare vari fattori, poiché è anche
possibile osservare i due oggetti contemporaneamente. In questo caso la
“visione”, o “campo di osservazione”, sarà più ampia. Un esempio è quello di
due sensazioni dolorose in due parti molto lontane del corpo o in due punti di
una gamba: se ci concentriamo su un punto, l’altro potrebbe diventare
predominante e si finisce per correre avanti e indietro tra un punto e l’altro.
Questo continuo correre potrebbe diventare un problema; in tal caso possiamo
decidere di allargare la visione a entrambi gli oggetti, rafforzando così la
presenza mentale.
Un oggetto
interno è preferibile a un oggetto esterno. Il motivo è che l’oggetto interno
aiuta a mantenere l’autocontrollo, mentre gli oggetti esterni tendono a
distrarre. Se ad esempio dobbiamo scegliere tra le sensazioni fisiche e i suoni
(non eccessivamente forti), sono preferibili le prime.
Una volta
stabilita la presenza mentale, si scelgono oggetti che rivelano con chiarezza
le tre caratteristiche universali: impermanenza,
sofferenza e non sé, che sono i veri oggetti della vipassana. L’insegnante può indicare
sin dall’inizio questa direzione; in questo caso la concentrazione si
svilupperà più lentamente, anche se prima o poi lo farà. È infatti preferibile
osservare un dolore, che rivela la qualità del “cambiamento” etc., che rimanere
in uno stato di tranquillità mentale in cui il cambiamento non è evidente.
Alcune persone
mantengono sempre l’oggetto primario ricevuto all’inizio della pratica, fino a
produrre i risultati desiderati, altre potrebbero invece avere bisogno di
passare ad altri oggetti, perché l’oggetto primario potrebbe aver perso
chiarezza e non si è più in grado di rimanere su di esso, oppure perché un
altro oggetto è diventato predominante. Qualunque
sia il motivo, l’oggetto secondario che prende il sopravvento sul primo diventa
l’oggetto primario, ma anche questo oggetto potrebbe cambiare con il mutare
delle condizioni, quindi, per un certo periodo di tempo, potremmo avere più di
un oggetto primario.
Ma questo non ha
importanza, l’importante è che il flusso della presenza mentale sia continuo. Una
volta raggiunta questa continuità, lo sviluppo successivo è quello della
concentrazione. Ovviamente, lo sviluppo della concentrazione sarà più veloce se
rimaniamo sempre sullo stesso oggetto primario per un lungo periodo di tempo.
Nota sulla pratica progressiva
Anche se queste
istruzioni di base sono ben comprese, quando si inizia a metterle in pratica probabilmente si scopre che non è facile
applicarle.
In primo luogo ci
si accorgerà di lottare semplicemente per essere consapevoli, questo perché
occorre sbarazzarsi di quegli impedimenti che i meditanti incontrano all’inizio
dello sforzo per sviluppare una concentrazione di base. Queste non sono altro
che contaminazioni, emozioni negative, accumuli di stress, che vanno sostituite
dalla presenza mentale in modo che diventi un’abitudine fondamentale.
Una volta
sviluppata la concentrazione e superati gli impedimenti, gli oggetti diventano
chiari e la penetrante presenza mentale li indaga per sperimentare la loro vera
natura. L’approfondita visione profonda purificherà progressivamente la mente
fino a raggiungere la realizzazione.
G.Giovannini M.Bonomelli
G.Giovannini M.Bonomelli
Un saluto nel
Dhamma a tutta Metta
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