Ci sono momenti, di solito brevi istanti, nei quali
siamo «coscienti senza pensare». Si presentano naturalmente e spontaneamente
nella nostra vita: ad un tratto possiamo ritrovarci a guardare il cielo o ad
ascoltare qualcuno senza nessun commento interiore, il dinamico ed usuale
chiacchiericcio mentale, immerso nei
flussi del pensiero viene sostituito dalla presenza consapevole e la nostra
percezione acquista la chiarezza del cristallo, non offuscata dal pensiero.
La mente sta incessantemente cercando non solo cibo per il pensiero, ma anche
cibo per la sua identità, per il suo
senso del sé. Questo è il modo nel quale l'ego si forma e ricrea continuamente
se stesso. Normalmente viviamo attraverso l'ego, facendoci condurre da quel
senso d’identità costruito negli anni “sull’io
sono questo, io sono così”, che ci separa costantemente da ciò che è “altro da me”.
Quando riconosciamo che vi è una voce nella nostra testa
che finge di essere noi e che non smette mai di parlare, allora stiamo
risvegliandoci dalla nostra identificazione automatica con il flusso del
pensiero. Quando notiamo quella voce, ci rendiamo conto che chi siamo non è
quella voce - colui che pensa - ma colui che ne è consapevole.
La cosa più pericolosa è il fatto che l'identificazione con il senso del sé ha bisogno di conflitto, di confronto, perché il suo senso d'identità separata si rinforza con il lottare contro questo o quello e nel dimostrare che questo sono «io» e che quello non sono «io».
Nell'avere a che fare con le persone, se ci facciamo caso, possiamo notare nei loro confronti sottili sentimenti di superiorità o d'inferiorità, un continuo bisogno di emettere giudizi, di essere meglio o peggio, di essere sempre in confronto con qualcosa o con qualcuno.
La cosa più pericolosa è il fatto che l'identificazione con il senso del sé ha bisogno di conflitto, di confronto, perché il suo senso d'identità separata si rinforza con il lottare contro questo o quello e nel dimostrare che questo sono «io» e che quello non sono «io».
Nell'avere a che fare con le persone, se ci facciamo caso, possiamo notare nei loro confronti sottili sentimenti di superiorità o d'inferiorità, un continuo bisogno di emettere giudizi, di essere meglio o peggio, di essere sempre in confronto con qualcosa o con qualcuno.
Questo ci può spiegare perché stiamo alla costante
ricerca di pace, gioia e amore e, pur quando riusciamo ad ottenere qualcuna di
queste condizioni, non riusciamo poi a mantenerla per molto. Diciamo di volere
la felicità ma siamo dipendenti dall'infelicità, vogliamo sempre essere
qualcosa o qualcuno, ma non riusciamo ad essere ciò che siamo.
Quando il Buddha ci parla della sofferenza si
riferisce proprio e soprattutto a quel
sottile senso di insoddisfazione che costantemente si ripresenta nei nostri
pensieri, in quei pensieri che governano cosi prepotentemente le nostre vite. Questa
è, in estrema sintesi, una delle funzioni cruciali della consapevolezza:
svelarci che non siamo solamente quel che pensiamo di essere, ma che possiamo
anche essere quello che siamo.
Questo è il frequente paradosso in cui viviamo; ciò
che siamo non ci piace e troviamo semplice seguire le suggestioni di pensieri,
immaginazioni, speranze e fantasie, utilizzando questo materiale per costruirci
una immagine riflessa più adatta e soddisfacente. Per questa ragione le nostre
strategie di vita spesso si rivelano
inadeguate, la semplice verità è che il protagonista non esiste!
davvero profondo, grazie! mi viene in mente che avevo letto su un libro di psicologia infantile quanto fosse importante che il bambino iniziasse a dire NO (intorno ai 2 o 3 anni) perchè era attraverso quei NO che si formava la sua identità, ma non avevo pensato ai "corollari" di tutto ciò. Ora, non ho dubbi sia necessario e salutare dire NO, ma sapere da dove arriva quel NO e cosa si sta facendo quando lo si dice è altrettanto importante (... ho capito giusto?). Grazie, ottimo spunto di riflessione e approfondimento!
RispondiEliminaSi penso che tu abbia colto il punto, con tutte le implicazioni...happy!
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