domenica 12 aprile 2020

Abhidhamma nella vita quotidiana. Capitolo 5 - Le diverse gradazioni del lobha la brama o cupidigia



Proseguiamo con il 5° capitolo di Abhidhamma nella Vita Quotidiana di Nina Van Gorkom. Nel capitolo vengono esposte le diverse gradazioni della cupidigia o brama (lobha), uno dei cosiddetti tre veleni o 3 influssi negativi nei quali si radicano tutti gli altri, e di come la brama influenza e si manifesta nei nostri stati di coscienza  .

L'Abhidhamma è il terzo dei canestri (raccolte) del Canone Buddhista ed è un’esposizione dettagliata di tutte le realtà, costituisce una risorsa fondamentale per comprendere appieno la visione buddhista della mente e della realtà.


CAPITOLO V

 Le diverse gradazioni del lobha

Il lobha o cupidigia conduce alla sofferenza: se veramente ce ne rendiamo conto, desideriamo estirparlo. Non si può tuttavia eliminarlo tutto a un tratto: si può sopprimerlo per qualche tempo, ma ricomparirà non appena ci saranno le condizioni adatte a farlo sorgere. Anche se sappiamo che il lobha porta sofferenza, è fatale che esso continui a sorgere. C’è però un modo per eliminarlo alla radice: esso può essere distrutto dalla saggezza che vede le cose così come sono.
Studiare il citta più in dettaglio ci può aiutare a conoscere noi stessi. Dovremmo analizzare non solo il lobha grossolano, ma anche le gradazioni più sottili del lobha.
Il seguente Sutta del Saṃyuttanikāya dà un esempio di un lobha molto sottile:

'Un tempo un certo monaco dimorava fra i Kosala in una macchia della foresta. Una volta il monaco, dopo aver mangiato ed essere tornato dalla questua, si tuffò in un laghetto e annusò un loto rosso. Allora una divinità che abitava in quella macchia, provando compassione per quel monaco, desiderando il suo bene e volendo suscitare in lui un senso di urgenza per la pratica, gli si avvicinò e si rivolse a lui con questa strofa:

“Il fiore di loto che tu annusi non ti è stato dato.
È qualcosa che può essere rubato. Signore, sei un ladro di profumi!”.

[Disse il monaco:]
“Non prendo il loto, non lo strappo, ma lo annuso da lontano.
Perché allora dici
che sono un ladro di profumi?

C’è chi svelle gli steli, c’è chi strappa i fiori.
Perché non parli piuttosto
di chi si comporta in un modo così rozzo?”.

[Disse la divinità:] “L’uomo rozzo e crudele
è macchiato come il vestito di una balia. Io con costui non parlo.
È a te che son degno di parlare.

A un uomo senza macchia, sempre in cerca della purezza,
anche solo la punta di capello di uno sbaglio pare grande come una nuvola...”1.

Dovremmo quindi conoscere anche il lobha sottile che sorge quando ci godiamo un buon profumo o una bella musica. Può parerci che, se non rechiamo danno ad altri, non ci siano in noi akusala-citta; ma anche un lobha sottilissimo è akusala: è diverso dalla generosità, che è kusala. Anche se non possiamo imporci di non avere un lobha, possiamo tuttavia sapere da che cosa è caratterizzato quando compare.
Non solo i Sutta danno esempi di lobha sottili, ma lo fa anche il Vinaya (il libro della regola monastica). Ogni parte degli insegnamenti
  • il Vinaya
  • il Suttanta
  • l’Abhidhamma  
può aiutarci a conoscere meglio noi stessi. Quando leggiamo il Vinaya vediamo che anche i monaci che conducevano una vita frugale accontentandosi di poco accumulavano condizioni per generare il lobha. Ogni volta che i monaci deviavano dalla vita pura, veniva stabilita una regola per aiutarli a essere più attenti. Possiamo quindi capire l’utilità delle regole monastiche, che si addentrano anche nei più piccoli dettagli del comportamen- to del monaco. Le regole aiutano il monaco a rimanere consapevole anche quando compie le comuni azioni della vita quotidiana, come mangiare, bere, vestirsi e camminare. Ci sono regole che proibiscono azioni apparentemente innocenti come giocare nell’acqua o con  l’acqua (Vinaya-piṭaka, IV, 112) o come prendere in giro altri monaci. Tali azioni non sono compiute con kusala-citta, ma con akusala-citta.Leggiamo nel Vinaya che i monaci non devono entrare in un villaggio in un momento inopportuno. Il motivo è che indulgerebbero più facilmente alle chiacchiere mondane:

A quel tempo il gruppo dei sei monaci, essendo entrato in un vil- laggio in un momento inopportuno, si sedette nella sala delle assemblee e parlò di argomenti mondani di vario genere, cioè di re, ladri, ministri, eserciti, paure, battaglie, cibo, bevande, vesti, letti, ghirlande, profumi, parentele, veicoli, villaggi, cittadine, città, paesi, donne, bevande alcoliche, chiacchiere da strada, chiacchiere da pozzo, discorsi sugli spiriti dei defunti, discorsi di vario genere, speculazioni sul mondo, sul mare, sul divenire o non divenire così e così...

Questo passo è utile anche ai laici. Non possiamo evitare di parlare di argomenti mondani, ma dovremmo sapere che le nostre chiacchiere, anche se sembrano innocenti, sono spesso motivate da lobha-mūla-citta o da dosa-mūla-citta (coscienze radicate nella cupidigia o nell’avversione). Al fine di conoscere noi stessi dovremmo scoprire da quale tipo di citta le nostre parole sono motivate.
Ogni volta che sorge un lobha-mūla-citta, il lobha si accumula. Quando ci sono le condizioni adatte, il lobha può motivare azioni ne- gative mediante il corpo, la parola o la mente. Se vediamo a quali tipi di azioni il lobha può condurre, siamo più inclini a coltivare la saggezza che porterà infine al suo sradicamento.
Le azioni negative sono chiamate in pāli akusala-kamma. Il kamma è il cetasika (fattore mentale che sorge con il citta) che è intenzione o volizione, in pāli cetanā. Tuttavia la parola kamma è anche u- sata in un senso più generale per le azioni che sono decise dalla cetanā. Anche il termine kammapatha (“modo di agire”, letteralmente “sentiero dell’azione”) è usato con questo significato. Ci sono akusala- kamma-patha e kusala-kamma-patha, azioni negative e positive, compiute mediante il corpo, la parola e la mente.
Per quanto riguarda gli akusala-kamma-patha, ce ne sono dieci e sono condizionati dal lobha, dal dosa e dal moha. Il moha o “confusione” accompagna ogni akusala-citta ed è la radice di ogni negatività. Così, quando c’è un akusala-kamma-patha, ci deve essere anche il moha. Alcuni akusala-kamma-patha possono talvolta essere compiuti con un lobha-mūla-citta e talaltra con un dosa-mūla-citta. Perciò, quando vediamo qualcuno che commette un’azione negativa, non possiamo sempre essere sicuri di quale tipo di citta motiva quell’azione.
I dieci akusala-kamma sono i seguenti:

1.    Uccidere
2.    Rubare
3.    Tenere una condotta sessuale scorretta
4.    Mentire
5.    Calunniare
6.    Parlare in modo aspro
7.    Parlare di cose frivole
8.    Avidità
9.    Malevolenza
10.  Visione errata (diṭṭhi)

  • Uccidere, rubare e tenere una condotta sessuale scorretta sono i tre akusala-kamma-patha del corpo. 
  • Mentire, calunniare, apostrofare in modo aspro e parlare di cose frivole sono i quattro akusala-kammapatha della parola. 
  • Avidità, malevolenza e visione errata sono i tre akusala-kamma-patha della mente.
Per quanto riguarda l’akusala-kamma-patha del corpo, si uccide con un dosa-mūla citta. Si ruba talvolta con un lobha-mūla-citta, talaltra con un dosa-mūla-citta: con il primo, se si desidera rubare qualcosa che appartiene a qualcun altro per goderselo; con il secondo, se si desidera che qualcun altro soffra per il danno subito. La scorretta condotta sessuale è tenuta con un lobha-mūla-citta.
Quanto all’akusala-kamma-patha della parola, la menzogna, la calunnia e la chiacchiera frivola sono compiute con lobha-mūla-citta se si vuole ottenere qualcosa per se stessi, oppure se si vuole ottenere la benevolenza degli altri. Riguardo alla menzogna, possiamo pensare che non ci sia alcun male in una cosiddetta “bugia a fin di bene” o in una frottola detta per scherzo. Ciò nondimeno tutti i tipi di parola falsa sono motivati da akusala-citta.

Leggiamo nel Consiglio a Rāhula ad Ambalaṭṭhikā ciò che il Buddha disse a suo figlio Rāhula sulla menzogna:

Così, Rāhula, se qualcuno non prova vergogna a mentire intenzionalmente, di costui dico che non c’è alcuna azione negativa che non possa compiere. Perciò, Rāhula, dovresti allenarti così: “Non dirò una cosa non vera neppure per scherzo”.

Si può anche mentire con un dosa-mūla-citta, nel caso in cui si desideri danneggiare qualcun altro. Quanto alla calunnia, siamo tutti inclini a parlare degli altri. Quando non c’è alcuna intenzione di danneggiare la reputazione degli altri, non c’è akusala-kamma-patha. Tuttavia, quando il parlare degli altri diventa un’abitudine, si può facilmente creare un’occasione per l’akusala-kamma-patha. Se si calunnia qualcuno al fine di ottenere qualcosa per se stessi o per compiacere gli altri, l’azione è compiuta con un lobha-mūla-citta. Se invece si vuole danneggiare qualcuno, è presente un dosa-mūla-citta. Saremo meno inclini a parlare degli altri o a giudicarli quando vedremo noi stessi e gli altri come fenomeni che sorgono a causa di condizioni e che non durano. Nell’istante in cui parliamo delle azioni degli altri, questi fenomeni sono già svaniti, e ciò che hanno detto o fatto non esiste più.
La parola aspra è pronunciata con un dosa-mūla-citta. La parola frivola consiste nel chiacchierare di cose vane e prive di significato. Questo tipo di parola può essere pronunciata con un lobha-mūla-citta o con un dosa-mūla-citta. Non sempre la chiacchiera è un akusala-kamma-patha: talvolta può essere praticata con un akusala-citta che non ha l’intensità di un akusala-kamma-patha.

Per ciò che concerne l’akusala-kamma-patha della mente, la malevolenza, ovvero l’intenzione di ferire qualcuno o nuocergli, è motivata da un dosa-mūla-citta; l’avidità e la visione errata sono provoca- te dai lobha-mūla-citta. C’è l’akusala-kamma-patha dell’avidità quando qualcuno desidera ottenere ciò che appartiene a qualcun altro con mezzi disonesti.

Quanto alle diṭṭhi, ne esistono molti tipi, ma solo tre sono classificabili come akusala-kamma-patha della mente.
  • Il primo tipo (ahetuka-diṭṭhi, “la visione errata dell’assenza di causa”) consiste nel credere che non esista una causa dell’esistenza degli esseri né una causa della loro purezza o corruzione. 
  • Il secondo akiriyā-diṭṭhi, “la visione errata dell’assenza di azioni” è la credenza che non esistano azioni positive o negative in grado di produrre il proprio effetto. 
  • Il terzo tipo (natthika-diṭṭhi, “la visione errata del «non esiste»”) è la convinzione che non ci sia un risultato del kamma e che non esista una vita dopo la morte.
Tutte le gradazioni del lobha, siano esse grossolane o sottili, producono sofferenza. Fintantoché siamo assorbiti e affascinati dagli oggetti che si presentano attraverso gli occhi, le orecchie, il naso, la lingua, il senso corporeo e la mente, siamo come schiavi. Non siamo liberi, se la nostra felicità dipende dalla situazione in cui ci troviamo e dal modo in cui gli altri si comportano verso di noi. In un dato momento, le persone ci trattano con gentilezza; nel momento successivo pos- sono comportarsi verso di noi in modo sgradevole. Se attribuiamo troppa importanza all’affetto degli altri, possiamo facilmente turbarci e diventare così schiavi dei nostri umori ed emozioni.

Se comprendiamo che sia noi sia gli altri siamo solo nāma e rūpa, fenomeni che sorgono a causa di condizioni e poi svaniscono, possiamo diventare più indipendenti e liberi. Quando gli altri ci parlano in modo spiacevole, ci sono condizioni che li fanno parlare così, e ci sono condizioni che ci fanno udire le loro parole. Il comportamento degli altri e le nostre reazioni sono fenomeni condizionati che non durano. Nell’istante in cui ci mettiamo a pensare a quei fenomeni, essi sono già scomparsi. Lo sviluppo della visione profonda è la via per diventare meno dipendenti dalle vicissitudini della vita. Quando ci sarà una maggiore comprensione del momento presente, attribuiremo meno importanza al modo in cui la gente si comporta nei nostri confronti.

Dato che il lobha ha radici profonde, deve essere estirpato gradualmente. Dapprima bisogna sradicare la diṭṭhi. Il sotāpanna (“colui che è entrato nella corrente [che conduce all’illuminazione], avendo realizzato la prima fase dell’illuminazione, ha estirpato la diṭṭhi e sviluppato la saggezza che realizza che tutti i fenomeni sono nāma e rūpa, non sé. Dal momento che ha sradicato la diṭṭhi, i lobha-mūla-citta con diṭṭhi non sorgono più. Come abbiamo visto, quattro tipi di lobha-mūla-citta sorgono con la diṭṭhi (sono diṭṭhigata-sampayutta) e quattro tipi, i cosiddetti diṭṭhigata-vippayutta, sorgono senza diṭṭhi. Nel sotāpanna sorgono ancora i quattro tipi senza diṭṭhi, perché non ha ancora sradicato tutti i tipi di attaccamento.

Il sotāpanna ha ancora presunzione: questa può sorgere con i quattro tipi di lobha-mūla-citta senza diṭṭhi. Ci può essere presunzione quando si confronta se stessi con gli altri, per esempio, quando si pensa di avere più saggezza degli altri. Quando consideriamo noi stessi migliori, uguali o inferiori agli altri, possiamo dare importanza a noi stessi ed è allora che sorge la presunzione. Il pensare che siamo peggiori degli altri non è necessariamente kusala: ci può essere ancora una sorta di attaccamento a noi stessi, e c’è quindi presunzione. Questa ha radici tanto profonde che è sradicata solo quando si diventa arahat.
La persona che ha raggiunto la seconda fase dell’illuminazione, il sakadāgāmin (“colui che ritorna solo una volta [nella sfera del desiderio]”), ha meno lobha del sotāpanna. Chi è entrato nella terza fase, l’anāgāmin (“colui che non ritorna [nella sfera del desiderio]”), non ha più attaccamento agli oggetti che si presentano attraverso i cinque sensi, ma ha ancora presunzione e attaccamento alla rinascita. L’arahat, il perfetto che ha attinto la quarta e ultima fase dell’illuminazione, ha sradicato completamente ogni forma di lobha.
Poiché ha eliminato ogni inquinante, l’arahat è completamente libero.

Leggiamo nel Saṃyutta-nikāya che il Buddha, trovandosi a Devadaha fra i Sakya, disse ai monaci:

Gli dei e gli esseri umani, o monaci, provano diletto per gli oggetti visibili, ne godono, ne gioiscono. Essendoci il mutamento, la dissoluzione e la cessazione degli oggetti visibili, o monaci, gli dei e gli esseri umani vivono con sofferenza. Essi provano diletto per i suoni... i profumi... i sapori... gli oggetti tangibili... gli stati mentali, ne godono, ne gioiscono. Essendoci il mutamento, la dissoluzione e la cessazione dei suoni... dei profumi... dei sa- pori... degli oggetti tangibili... degli stati mentali, o monaci, gli dei e gli esseri umani vivono con sofferenza.
Ma il Tathāgata, che è un arahat, un Buddha perfettamente risvegliato, avendo visto così come sono in realtà l’origine, l’estinzione, il lato positivo e quello negativo e l’abbandono degli oggetti visibili, non prova diletto per essi, non ne gode, non ne gioisce. Essendoci il mutamento, la dissoluzione e la cessa- zione degli oggetti visibili, o monaci, il Tathāgata vive felicemente...

Il Buddha e tutti coloro che sono arahat hanno sradicato la cu- pidigia per tutti gli oggetti dell’esperienza. Hanno penetrato la vera na- tura di tutte le realtà condizionate che sorgono e svaniscono, che sono impermanenti. L’arahat raggiunge la fine della rinascita, la cessazione del sorgere delle realtà condizionate, e perciò “vive felicemente”.

Domande:

1.    Quando l’obbiettivo non è il dāna (generosità), il sīla (mora- lità) o la bhāvanā (coltivazione della mente), può la parola essere pro- nunciata con un kusala-citta?
2.    Quale cetasika è il kamma?
3.    Quali sono i dieci akusala-kamma-patha?
4.    Sono akusala-kamma-patha tutti i tipi di visione errata?
5.    Perché la cupidigia e l’attaccamento conducono sempre alla sofferenza?
6.    Chi ha sradicato tutti i tipi di lobha?

La pubblicazione della versione italiana è stata curata da A.S.Comba. Segnalo a tutti voi la pagina web di lulu.com di Antonella Comba nella quale pubblica i suoi lavori, potete trovare molte risorse di fondamentale per lo studio del buddhismo. Antonella ha tradotto dal Pali testi di grande importanza che è possibile scaricare in formato .pdf per consultazione, oppure riceverli rilegati.
Ad Antonella, amica e compagna nel Dhamma, va il mio personale ringraziamento per il suo lavoro.

N.B. questi argomenti sono di grande rilevanza per comprendere pienamente il pensiero, la metafisica e la visione della mente dal punto di vista buddhista, costituiranno tema di approfondimento nei futuri Incontri Domenicali

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