domenica 14 aprile 2019

Abhidhamma nella vita quotidiana. Capitolo 1 - Realtà ultime


Proseguo, dopo aver pubblicato le prefazioni con la pubblicazione del 1° capitolo di Abhidhamma nella vita quotidiana di Nina Van Gorkom. L'Abhidhamma è il terzo dei canestri della Canone Buddhista ed è un’esposizione dettagliata di tutte le realtà, costituisce una risorsa fondamentale per comprendere appieno la visione buddhista della mente e della realtà. La pubblicazione della versione italiana è stata curata da A.S.Comba. Inizio con la prefazione della Gorkom, seguita dalla prefazione all'edizione italiana di A.Comba.
Segnalo a tutti voi la pagina web di lulu.com di Antonella Comba nella quale pubblica i suoi lavori, potete trovare molte risorse di fondamentale per lo studio del buddhismo. Antonella ha tradotto dal Pali testi di grande importanza che è possibile scaricare in formato .pdf per consultazione, oppure riceverli rilegati.
Ad Antonella, amica e compagna nel Dhamma, va il mio personale ringraziamento per il suo lavoro.

Warning: questo capitolo è di grande importanza, mettete in circolo più neuroni che potete...

CAPITOLO I
I quattro paramattha-dhamma (realtà ultime)

Ci sono due tipi di realtà: i fenomeni mentali o nāma e i fenomeni fisici o rūpa. Mentre il nāma sperimenta qualcosa, il rūpa non esperisce alcunché. Ciò che noi prendiamo per un “sé” consiste quindi solo in nāma e rūpa che sorgono e svaniscono. 
Dice Buddhaghosa:

È stato detto:
come per designare un insieme di parti si usa la parola “carro”,
così, quando ci si riferisce agli aggregati,
si usa il comune appellativo di “essere vivente”.

[...] Così in parecchie centinaia di Suttanta si è parlato solo di “nome e forma” anziché di un “essere vivente” o di una “persona”.
Perciò, allorché gli assi, le ruote, il carrello, il timone ecc. costituiscono in modo unitario un insieme di parti, ricevono il semplice appellativo comune di “carro”; ma, in senso assoluto, se si analizza ciascuna parte, non c’è nulla che si possa chiamare “carro” [...].
Proprio allo stesso modo, quando sono presenti i cinque aggregati dell’attaccamento, essi ricevono il semplice appellativo comune di “essere vivente”, di “persona”; ma, in senso assoluto, se si analizza ciascun dhamma, non c’è nulla che si possa chiamare “essere vivente”, che sia una base fisica per chi afferra [l’idea di] “Sono” (asmi) oppure “Io” (ahaṃ); in senso assoluto c’è invece soltanto il “nome e forma”.

Tutti i fenomeni dentro di noi e intorno a noi sono solo nāma e rūpa impermanenti che sorgono e svaniscono. Nāma e rūpa sono in pāli paramattha-dhamma, “realtà assolute o ultime”. Possiamo sperimentare le loro caratteristiche quando appaiono, indipendentemente dal modo in cui li chiamiamo: non dobbiamo necessariamente denominarli nāma e rūpa. Coloro che hanno sviluppato la visione profonda possono sperimentarli come sono in realtà, cioè come impermanenti e privi di un sé. Il vedere, l’udire, l’odorare, il gustare, lo sperimentare oggetti tangibili attraverso il senso del corpo e il pensare sono tutti nāma impermanenti. Siamo soliti pensare che c’è un sé che svolge funzioni diverse come il vedere, l’udire o il pensare; ma dov’è questo sé? È uno di questi nāma? Più conosciamo diversi nāma e rūpa sperimentando le loro caratteristiche, più vediamo che il sé è solo un concetto, non è un paramattha-dhamma.

I nāma e i rūpa sono tipi diversi di realtà: i nāma sono fenomeni mentali, mentre i rūpa sono fenomeni fisici. Se non li distinguiamo e non impariamo quali sono le loro caratteristiche, continueremo a scambiarli per un sé. Per esempio, l’udire è un nāma: non ha una forma o una configurazione, non ha orecchie; è diverso dal senso dell’udito, ma quest’ultimo è per l’udire una condizione necessaria. Il nāma che ode sperimenta il suono, mentre il senso dell’udito e il suono differiscono da esso, perché sono rūpa e non sperimentano alcunché. Se non capiamo che l’udire, il senso dell’udito e il suono sono realtà completamente diverse l’una dall’altra, continueremo a pensare che è il sé a udire. 
Il Visuddhimagga così spiega questo tema:

Il nāma è privo di forza e non può manifestarsi autonomamente. Esso non mangia, non beve, non parla e non adotta alcuna postura. Anche il rūpa è privo di forza e non può manifestarsi auto- nomamente. Esso non desidera mangiare, non desidera bere, non desidera parlare e non desidera adottare alcuna postura. E tuttavia il nāma si manifesta grazie al rūpa, mentre il rūpa si manifesta grazie al nāma. Quando il nāma desidera mangiare, desidera bere, desidera parlare e desidera adottare una postura, il rūpa mangia, beve, parla e adotta una postura...
Più oltre nel testo leggiamo queste parole:

Come gli esseri umani, grazie a una nave, viaggiano sull’oceano,
così il complesso del nāma, grazie al rūpa, si manifesta.
Come la nave, grazie agli esseri umani, viaggia sull’oceano,
così il complesso del rūpa, grazie al nāma, si manifesta.
Gli uomini e le navi, aiutandosi reciprocamente, viaggiano sull’oceano.
Così il nāma e il rūpa dipendono l’uno dall’altro.

Ci sono due tipi di nāma condizionato: il citta (“coscienza”) e i cetasika (“fattori mentali” che sorgono insieme alla coscienza). Essi sono nāma che sorgono a causa di particolari condizioni e poi svaniscono nuovamente. Il citta conosce o sperimenta un oggetto; ogni citta ha il suo oggetto, chiamato in pāli ārammaṇa. Conoscere o sperimentare un oggetto non significa necessariamente pensare a esso, per esempio: il citta che vede ha come oggetto ciò che è visibile ed è diverso dai citta che sorgono in seguito, come quelli che conoscono che cosa è stato percepito e quelli che pensano a ciò che è stato percepito. Il citta che ode, ovvero la coscienza uditiva, ha invece per oggetto il suono, e così via. Anche quando siamo profondamente addormentati e non sogniamo, il citta sperimenta un oggetto, dal momento che non c’è alcun citta che sia privo di un oggetto. Ci sono molti tipi di citta che possono essere classificati in diversi modi. Alcuni citta sono kusala (“salutari”), mentre altri sono akusala (“non salutari”, nocivi). I kusala-citta e gli akusala-citta sono cause: possono motivare azioni salutari o non salutari tramite il corpo, la pa- rola e la mente, e tali azioni sono in grado di produrre i risultati corrispondenti. Alcuni citta, detti vipāka-citta o “coscienze risultanti”, sono il risultato di azioni salutari o non salutari; altri, i kiriya-citta o “coscienze funzionali, non operative”, non sono né cause né risultati.

I citta possono essere classificati in base alla jāti (parola che significa “nascita” o “natura”). Ci sono quattro jāti:
  • kusala 
  • akusala 
  • vipāka 
  • kiriya
 La jāti del vipāka si divide a sua volta in kusala-vipāka (“risultato di un’azione salutare”) e akusala-vipāka (“risultato di un’azione non salutare”).

È importante sapere a quale jāti appartiene un citta perché non possiamo coltivare nella nostra vita ciò che è salutare se scambiamo il kusala per l’akusala o l’akusala per il vipāka. Per esempio, quando qualcuno ci dice parole spiacevoli, la coscienza uditiva con cui sperimentiamo il suono di tali parole è un akusala-vipāka-citta, il risultato di un’azione non salutare che noi stessi abbiamo compiuto in passato. Ma l’avversione che può sorgere subito dopo non è un vipāka, bensì un fattore mentale o cetasika che sorge con un akusala-citta. È dunque possibile imparare a distinguere questi istanti l’uno dall’altro realizzando le loro reali caratteristiche.

Un altro modo di classificare il citta utilizza il livello di coscienza (in pāli bhūmi). Ci sono diversi livelli di coscienza: il livello sensoriale, corrispondente alle coscienze della sfera del desiderio o kāmāvacara-citta, è quello delle impressioni dei sensi, che sono il vedere oggetti visibili, l’udire suoni, l’odorare odori, il gustare sapori e lo sperimentare oggetti tangibili mediante il senso corporeo. A causa degli oggetti piacevoli e spiacevoli sperimentati attraverso i sensi sorgono i kusala-citta o “coscienze salutari” e gli akusala-citta o “coscienze non salutari”.
Ci sono tuttavia anche altri livelli del citta, che non sperimentano impressioni sensoriali. Coloro che coltivano il samatha (“calma concentrata”) e raggiungono l’assorbimento (jhāna) hanno jhāna-citta (coscienze dell’assorbimento) privi di oggetti sensoriali. Il lokuttara-citta (“coscienza sopramondana”) è il livello di coscienza più alto perché sperimenta direttamente il nibbāna.

Esistono ancora altri modi di classificare il citta, se consideriamo le sue diverse intensità, sono possibili numerose altre differenziazioni. Per esempio, gli akusala-citta, che hanno radici nella cupidigia (lobha), nell’avversione (dosa) e nella confusione (moha), possono essere di vari tipi di intensità. Talvolta possono motivare azioni, tal'altra no, a seconda di quanto sono akusala. Anche i kusala-citta possono avere vari gradi di intensità. È utile conoscere più modi di classificarli, perché in questo modo possiamo apprendere diversi aspetti del citta. Ci sono nel complesso ottantanove tipi di citta (secondo un’altra classificazione, ce ne sono centoventuno). Se sviluppiamo la conoscenza dei citta e se ne siamo consapevoli quando appaiono, siamo meno inclini a prenderli per un sé.

Il cetasika è il secondo paramattha-dhamma che è un nāma. Come abbiamo visto, il citta sperimenta un oggetto: il vedere ha per oggetto ciò che è visibile, l’udire ha per oggetto il suono, il citta che pensa sperimenta l’oggetto a cui sta pensando. Tuttavia non c’è solo il citta, ma ci sono anche i cetasika, fattori mentali che accompagnano il citta. Si può pensare a qualcosa con avversione, con una sensazione piacevole o con saggezza: l’avversione, la sensazione e la saggezza sono fenomeni mentali che non sono citta, bensì cetasika che accompagnano i diversi citta. C’è solo un citta per volta, ma ci sono parecchi cetasika che sorgono insieme al citta e svaniscono insieme a esso. Il citta non sorge mai da solo. Per esempio, la sensazione (pāli vedanā) è un cetasika che sorge con ogni citta. Il citta si limita a conoscere o sperimentare il suo oggetto, non lo “sente” con una sensazione. La sensazione o vedanā, invece, ha la funzione di sentire. La sensazione è talvolta piacevole, tal'altra spiacevole. Quando non abbiamo una sensazione piacevole o spiacevole, c’è comunque una sensazione: in quell’istante la sensazione è neutra o indifferente. C’è sempre una sensazione, perché non c’è alcun istante del citta privo di sensazioni.

Quando per esempio sorge la coscienza visiva, la sensazione sorge insieme al citta. Il citta che vede percepisce solo un oggetto visibile, in quanto non c’è ancora piacere o dispiacere. La sensazione che accompagna questo tipo di citta è neutra. Dopo che la coscienza visiva è svanita, sorgono altri citta: fra questi, ce ne possono essere alcuni che non gradiscono l’oggetto e sono accompagnati da una sensazione spiacevole. La funzione del citta è conoscere un oggetto: il citta è il “capo del conoscere”; i cetasika, invece, pur condividendo con il citta il medesimo oggetto, hanno ciascuno una propria qualità e funzione specifica. Alcuni cetasika sorgono con ogni citta, altri invece non si comportano in questo modo.

Come abbiamo visto, la sensazione o vedanā è un cetasika che sorge con ogni citta. Il contatto (pāli phassa) è un altro cetasika che si manifesta con ogni citta: “tocca” l’oggetto in modo che il citta possa sperimentarlo. Anche la percezione (pāli saññā) è un cetasika che compare con ogni citta. Nel Visuddhi-magga leggiamo che saññā ha la funzione di percepire:

La sua funzione è far sì che il segno (nimitta) sia la condizione causale (paccaya) del percepire ripetutamente che “questo [oggetto] è lo stesso”, come fanno i taglialegna ecc. con i tronchi ecc.

Il citta si limita a sperimentare o conoscere l’oggetto, non lo “segna”; è sāññā ad apporre un’etichetta all’oggetto in modo che esso possa essere riconosciuto in seguito. Quando ricordiamo qualcosa, è saññā che ricorda, non il sé: per esempio, è saññā a ricordare che un certo colore è rosso, che un certo oggetto è una casa o che un certo suono è il canto di un uccello.
Ci sono anche tipi di cetasika che non sorgono con ogni citta: gli akusala-cetasika o fattori mentali non salutari sorgono solo con gli akusala-citta, mentre i sobhana-cetasika o fattori mentali belli sorgono con i sobhana-citta (coscienze belle). Il lobha (“cupidigia”), il dosa (“avversione”) e il moha (“confusione”) sono akusala-cetasika che sorgono solo con gli akusala-citta. Per esempio, quando vediamo qualcosa di bello, possono sorgere citta con il cetasika della cupidigia per ciò che abbiamo visto, il lobha ha la funzione di concupire qualcosa. Ci sono parecchi altri akusala-cetasika che sorgono con gli akusala-citta, come la presunzione (māna), la visione errata (diṭṭhi) e l’invidia (issā).

I sobhana-cetasika
che accompagnano i citta salutari sono per esempio alobha (lett. “non cupidigia”, la generosità), l’adosa (“non avversione”, la gentilezza amorevole) e l’amoha (“non confusione”, la saggezza o paññā). Quando siamo generosi, l’alobha e l’adosa sorgono con il kusala-citta. Anche la saggezza o paññā può sorgere con il kusala-citta, come pure altri tipi di sobhana-cetasika. Sia gli inquinanti, sia le qualità salutari sono cetasika e sono non sé. 
In tutto ci sono cinquantadue cetasika.
Sebbene i citta e i cetasika siano entrambi nāma, hanno caratteristiche diverse. Ci si può chiedere come si possano sperimentare i cetasika. Per esempio, quando gli akusala-citta sorgono insieme all’avarizia dopo che i kusala-citta accompagnati dalla generosità sono svaniti, possiamo notare un cambiamento. L’avarizia e la generosità sono cetasika che possono essere sperimentati, in quanto hanno caratteristiche diverse. Possiamo pure notare il cambiamento dalla cupidigia all’avversione, dalla sensazione piacevole a quella spiacevole. La sensazione è un cetasika che possiamo sperimentare, perché la sensazione è talvolta predominante. Possiamo renderci conto dei diversi tipi di sensazione e sentire come la sensazione spiacevole sia diversa da quella piacevole e da quella neutra. Questi diversi cetasika sorgono con i citta e svaniscono immediatamente insieme al citta che accompagnano. Se conosceremo meglio i citta e i cetasika, ciò ci aiuterà a vedere la realtà.

Dato che il citta e il cetasika sorgono insieme, è difficile vedere la differenza fra le loro caratteristiche. Il Buddha era in grado di sperimentare direttamente le varie caratteristiche di tutti i citta e cetasika perché la sua saggezza era sviluppata al massimo livello. Nelle Domande del re Milinda (Milinda-pañha) l’arahat Nāgasena dice al re Milinda:

“O gran re, il Beato ha fatto qualcosa di molto difficile”. “Venerabile Nāgasena, che cos’ha fatto il Beato di tanto diffici-le?”.
“Gran re, il Beato ha fatto qualcosa di molto difficile. Egli ha distinto i dhamma privi di forma, cioè la coscienza e i fattori mentali, che si manifestano riguardo a un certo oggetto: «Questo è il contatto», «Questa è la sensazione», «Questa è la percezio- ne», «Questa è la volizione (cetanā)», «Questa è la coscienza»”. “Fammi un esempio”.
“Supponi, o re, che un uomo navighi con una barca fino al grande oceano e, prendendo nel palmo della mano un po’ d’acqua, l’assaggi con la lingua. Potrebbe distinguere se l’acqua proviene dal Gange, dalla Yamunā, dall’Aciravatī, dalla Sarabhū o dalla Mahī?”.
“Distinguere è difficile, o Venerabile”.
“Gran re, il Beato ha fatto qualcosa di ancor più difficile: ha di-stinto i dhamma privi di forma, cioè la coscienza e i fattori mentali, che si manifestano riguardo a un certo oggetto: «Questo è il contatto», «Questa è la sensazione», «Questa è la percezione», «Questa è la volizione (cetanā)», «Questa è la coscienza»”15.

Il citta e il cetasika sono paramattha-dhamma e ciascuno di essi ha caratteristiche peculiari. Queste caratteristiche possono essere sperimentate indipendentemente da come vengono chiamate. I para- mattha-dhamma non sono parole o concetti, ma realtà. Per esempio, la sensazione piacevole e quella spiacevole sono reali; le loro caratteristiche possono essere sperimentate anche se esse non vengono chiamate “sensazione piacevole” o “sensazione spiacevole”. Anche l’avversione è reale e può essere sperimentata allorché si manifesta.

I fenomeni non sono soltanto mentali, ma anche fisici. I rūpa o fenomeni fisici costituiscono il terzo paramattha-dhamma. Ci sono vari tipi di rūpa, ciascuno dei quali ha la propria caratteristica. Esistono quattro rūpa principali che sono chiamati “grandi elementi” (pāli mahā-bhūta-rūpa):
  • l’elemento della terra o solidità (da sperimentare come durezza o morbidezza) 
  • l’elemento dell’acqua o coesione
  • l’elemento del fuoco o temperatura (da sperimentare come caldo o freddo)
  • l’elemento del vento o moto (da sperimentare come oscillazione o pressione)
Questi “grandi elementi” sono i rūpa principali; essi sorgono insieme a tutti gli altri tipi di rūpa, chiamati “rūpa derivati o secondari” (pāli upādā-rūpa). I rūpa non sorgono da soli, bensì in gruppi o unità composti da almeno otto tipi di rūpa. Per esempio, quando sorge il rūpa della temperatura, sorgono anche la solidità, la coesione, il moto e altri rūpa. I “rūpa secondari” sono per esempio gli organi fisici dell’occhio, dell’orecchio, del naso, della lingua e del senso corporeo, e gli oggetti sensoriali visibili, il suono, l’odore, il sapore e gli oggetti tangibili.

Tramite gli organi fisici di senso si possono sperimentare diverse caratteristiche del rūpa, ed esse sono reali, dal momento che possono essere sperimentate. Per esempio, noi usiamo termini convenzionali come “corpo” e “tavolo” per designare oggetti che hanno la caratteristica della durezza, sperimentabile mediante il tatto. In questo modo possiamo provare che la caratteristica della durezza è la stessa sia nel corpo sia nel tavolo. La durezza è un paramattha-dhamma; il “corpo” e il “tavolo” non lo sono, sono solo concetti. Diamo per scontato che il corpo permanga e lo prendiamo per un sé, ma ciò che chiamiamo “corpo” consiste soltanto in diversi rūpa che sorgono e svaniscono. Il termine convenzionale “corpo” può quindi confonderci riguardo alla realtà. Conosceremo la verità quando impareremo a sperimentare le diverse caratteristiche del rūpa quando appaiono.
I citta, i cetasika e i rūpa sorgono soltanto quando ci sono le condizioni opportune: essi sono dhamma condizionati (pāli saṅkhāra- dhamma). Il vedere non può sorgere quando non c’è l’occhio o il senso della vista e quando manca un oggetto visibile. Queste sono le condizioni necessarie alla sua manifestazione; in loro presenza, il vedere sorge e poi torna a svanire. Ogni cosa che sorge a causa di condizioni deve nuovamente svanire quando le condizioni sono cessate. Si può pensare che il suono perduri, ma ciò che prendiamo per un suono duraturo consiste in realtà in molti rūpa diversi che si susseguono l’uno dopo l’altro.

Il quarto paramattha-dhamma è il nibbāna: esso è un paramattha-dhamma, è reale e può essere sperimentato attraverso la porta mentale, se si segue il retto Sentiero che permette di raggiungerlo, lo sviluppo della saggezza che vede le cose così come sono. Il nibbāna è un nāma, ma non è un citta o un cetasika, un paramattha-dhamma che sorge a causa di certe condizioni e poi svanisce. Il nibbāna è un nāma che è una realtà incondizionata, perciò non sorge e non svanisce. I citta e i cetasika sono nāma che sperimentano un oggetto; il nibbāna non sperimenta alcun oggetto, ma esso stesso può essere oggetto dei citta e dei cetasika che lo sperimentano. Neppure il nibbāna è una persona: è non sé, anatta
Ricapitolando, ci sono quattro paramattha-dhamma:
  • citta 
  • cetasika 
  • rūpa 
  • nibbāna
Quando studiamo il Dhamma, è essenziale sapere a quale tipo di paramattha-dhamma appartiene una certa realtà. Se non ce ne rendiamo conto, possiamo essere fuorviati dai termini convenzionali. Dobbiamo per esempio sapere che tutto ciò che chiamiamo “corpo” consiste in realtà di vari rūpa paramattha-dhamma, non di citta o cetasika; inoltre è necessario che ci rendiamo conto che il nibbāna non è un citta o un cetasika, ma il quarto paramattha-dhamma. Il nibbāna è la fine di tutte le realtà condizionate che sorgono e svaniscono. Per l’arahat o “perfetto” che trapassa, non c’è più rinascita, né sussistono nāma e rūpa che sorgono e svaniscono.
  • Tutti i dhamma condizionati – citta, cetasika e rūpa – sono impermanenti (in pāli "anicca")
  • Tutti i dhamma condizionati sono dukkha (“sofferenza”): essi non sono soddisfacenti, dal momento che sono impermanenti
  • Tutti i dhamma sono non sé, anatta (in pāli: sabbe dhammā anattā, Dhammapada 279)
 Pertanto i dhamma condizionati sono impermanenti e dolorosi, mentre il nibbāna non lo è. Ma tutti i dhamma, tutti i paramattha- dhamma compreso il nibbāna hanno la caratteristica dell’anatta, del non sé.

 Domande:

1.  Che differenza c’è fra il nāma e il rūpa?
2.  Che differenza c’è fra il citta e il cetasika?
3.  I cetasika sperimentano un oggetto?
4.  Insieme al citta sorgono più cetasika?
5.  Può il nibbāna sperimentare un oggetto?
6.  Il nibbāna è un sé oppure no?

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