La meditazione
di “Metta” o di “Gentilezza amorevole” è una delle pratiche legate al Buddhismo
di tradizione Theravada che consente, attraverso l’attività concentrata della
mente, di far sorgere uno stato della coscienza puro, altruistico e colmo di
affetto per sé e per il prossimo.
Si tratta di uno dei numerosi tipi di meditazione, insegnati
direttamente dal Buddha ai suoi discepoli, che viene classificato tra le
pratiche di “Samatha” o di
concentrazione, ed è una delle quattro dimore divine, ovvero uno dei quattro
stati sublimi verso cui la coscienza può essere, dopo un poco di addestramento,
indirizzata e plasmata. Può cambiare radicalmente le nostre vite perchè è in grado di farci scoprire che il calore di uno stato mentale colmo di tenerezza e affetto può sorgere da dentro senza alcun bisogno di gratificazioni esterne.
La mente, secondo la psicologia buddhista, è un complesso di
forze volte a conoscere la realtà circostante e, nel caso di una mente saggia,
ad accettarla senza lasciare che
giudizi/pregiudizi e convizioni/convenzioni facciano sorgere
alcuna azione/reazione. Nel nostro quotidiano invece, un senso di
identificazione omni-pervasivo si erge a giudice di tutto ciò che accade e ci
riguarda; questa attività giudicante è la fonte dei fiumi di sofferenza le cui
piene travolgono il nostro intimo e il mondo attorno a noi.
La Metta è un salvagente che ci viene offerto.
Si tratta di un dono importante poiché, grazie ad una
semplice attività mentale portata avanti con la pratica meditativa, ci permette
di trovare pace e tranquillità e contemporaneamente di sviluppare una delle
qualità più utili della nostra mente: la concentrazione. E quando in una mente
pura la concentrazione incontra la consapevolezza allora il cammino verso la
pace e la saggezza diventa un processo naturale che semplicemente “avviene”.
Il percorso verso una mente migliore non è un processo
spontaneo. La mente, abbandonata a se stessa, nella stragrande maggioranza dei
casi, tende ad essere dominata da un flusso caotico dove emozioni, istinti e
pensieri vagano senza controllo e si ingigantiscono autoalimentandosi. Solo
incamminandoci su un percorso di consapevolezza possiamo intervenire per
comprendere, purificare ed addestrare il meraviglioso strumento che abbiamo a
disposizione. Ma per usare una metafora, il cavallo selvaggio deve essere
domato e disciplinato se desideriamo
cavalcarlo, altrimenti finiremo disarcionati e molto spesso malconci. La
meditazione di Gentilezza amorevole è uno strumento utile e gradevole, uno
stato mentale in cui la mente si dispone assai volentieri; un po’ come
avvicinarsi all’ombroso cavallo selvaggio con le mani colme di zucchero.
Cosa ci accade quando ci innamoriamo? Oppure quando aiutiamo
qualcuno in difficoltà o veniamo aiutati? Quando ci affianchiamo al dolore di
un amico semplicemente ascoltando? Ecco che il nostro essere vive stati quale
l’amore, la partecipazione e la solidarietà, la compassione/con-passione, l’affetto,
e quando questo accade ci sentiamo migliori, più ricchi e vivi poiché
l’esistenza tutta si fa più intensa.
In questi frangenti riusciamo ad attingere ad una parte di
noi stessi che spesso teniamo in disparte, un po’ per salvaguardarla, ma molto
spesso per esibire inutili maschere, il più delle volte inutilmente e
fragilmente ardimentose. Così ci muoviamo dentro inutili fantocci in una
pantonima in cui il Minotauro è da Mac Donald a farsi un Big Mac e il filo che
ci dovrebbe condurre ad Arianna l’abbiamo perso da un pezzo.
Così non va, semplicemente non funziona. Possiamo ritrovare
la parte migliore del nostro essere e decidere che quella è la nostra parte? Si
che possiamo.
La meditazione sulla Gentilezza amorevole ci tende la mano
per incamminarci nella direzione giusta: ci insegna prima di tutto ad amare noi
stessi, poi ci suggerisce di scegliere una persona a cui vogliamo bene, vicina
al nostro cuore e, pensandola, ad inviarle mentalmente pensieri positivi e di
augurio, fase in cui si applicano tecniche di concentrazione, e, una volta
sorto il flusso di Metta, ci invita ad ampliare sempre di più il campo
lasciando che la nostra mente si espanda, sulle ali di un puro sentimento,
senza limiti, ritrovando così la sua natura universale ed amorevole.
Do it if
you can.... provarci non fa male….
Una buona immagine per rappresentare la Metta (gentilezza
amorevole) è quella di una madre che culla il suo bambino. Qualcuno di noi,
forse, può ancora ricordare la sensazione piacevole di quando venivamo cullati
prima di addormentarci, o magari rammentare un momento in cui noi abbiamo
cullato un figlio. La Metta si caratterizza come uno stato mentale che promuove
aspetti del benessere: premurosità, benevolenza, affetto, gentilezza amorevole.
Si tratta di uno stato mentale completamente disinteressato e puro che reca
profitto a noi stessi e agli altri e non c’è modo migliore per conoscerlo che
sperimentarlo così come si presenta nella nostra mente/cuore. Una volta
coltivato diventa potente e utile, recando con sé pace e felicità intense e
profonde.
Lo sviluppo di Metta comprende i seguenti aspetti:
-
la concentrazione: concentrata essa diventa
forte e potente
-
la flessibilità: può essere data a tutti, è
versatile, universale e illimitata
-
l’utilizzo: quando essa è forte e vigorosa noi
possiamo usarla per produrre meraviglie e migliorare la vita di ognuno
Per sviluppare questi tre aspetti ci vuole un metodo e
pazienza nell’applicarlo, poiché meditare significa agire con la mente,
inclinandola nella direzione desiderata.
Proviamo ad addentrarci nella pratica, a sperimentarla.
Assumiamo una posizione confortevole e facciamo qualche
respiro profondo e rilassiamoci mentre espiriamo.
All’inizio della pratica di Metta è assai utile compiere una
breve contemplazione sui benefici della stessa: possiamo riandare ad un
episodio della nostra vita in cui siamo stati preda della rabbia e, senza
entrare nel merito dello stesso, ricordare invece lo stato del nostro essere in
quel frangente, sia a livello fisico che mentale, ricordando lo stato di
disagio in cui eravamo immersi.
In seguito facciamo la stessa cosa rispetto ad un episodio dove era la
gentilezza amorevole ad essere presente, cercando di ricordare, anche in questo
caso, le sensazioni di quel momento: gratitudine, gioia, affetto. Questo di
solito pone la mente nella giusta predisposizione, vivificando, grazie alla
memoria, le qualità ricercate.
Poi rivolgiamo il pensiero a noi stessi, poiché volersi bene
è un prerequisito per amare il prossimo, consapevoli del nostro desiderio di
stare bene dentro e fuori di noi e, con questa attitudine, rivolgiamo a noi
stessi gli auspici (sono quelli che ci giungono dalla tradizione):
Che io possa essere al sicuro, libero dal pericolo e dal
male
Che io possa vivere in pace, libero dalla sofferenza mentale
Che io possa essere sano, libero dalla sofferenza fisica
Che io possa aver cura di me stesso e vivere serenamente
Queste quattro frasi che possono essere adattate a proprio
piacimento mantenendone validi i concetti, ripetute mentalmente un po’ come dei
Mantra per favorire la concentrazione, inducono il placarsi della mente
discorsiva e il sorgere del flusso della gentilezza.
Continuiamo per qualche minuto in questo modo poi, scegliamo
una persona a cui vogliamo bene, che ci è vicina, che ci ha aiutato e per la
quale ci risulti facile provare affetto e desiderio di inviarle gentilezza:
essa sarà il nostro oggetto di meditazione, l’obiettivo del nostro flusso di
metta. Possiamo immaginarla vicina a noi o sentirci al suo fianco e poi
lasciamo che la mente/cuore sviluppi il suo flusso di Metta.
Possiamo utilizzare ancora i quattro auspici precedenti,
ovviamente cambiandone il soggetto, recitandoli mentalmente come se fossero il
veicolo della gentilezza amorevole che si irradia verso la persona amata.
A questo punto non dobbiamo fare altro che sprofondare
sempre più in uno stato rilassato e bene augurante, dimenticando noi stessi,
dove siamo, chi siamo, il tempo e lo spazio intorno a noi. Una volta che il
fluire della Metta è diventato stabile e continuo possiamo allargare il campo
inviandola alle persone più vicine, agli amici, ai parenti ed espandendola
sempre di più possiamo avvolgere il nostro paese o città e, rendendo il nostro
flusso di Metta universale, alla nazione intera, al pianeta, al cosmo. Non ci
sono limiti.
Grazie Giancarlo.
RispondiEliminaTi dirò che non è un tipo di meditazione che pratico spesso. Non perchè non ne condivida il senso e lo scopo, ma perchè mi dà l'impressione di recitare una preghiera e questo mi mette a disagio.
Ciao Gloria,
RispondiEliminaQuesta è una sensazione che spesso viene riferita e viene avvertita da alcuni praticanti.
Penso che il motivo principale sia che, fermandosi alle prime resistenze, non riescono a giungere e consolidare agli stati di concentrazione profonda a cui le meditazioni di samatha consentono di accedere. Ovviamente è possibile percorrere la via della sola vipassana, nella tradizione Mahasi si fa principalmente questo.
Ciò nondimeno considera che inclinare e abituare la mente agli stati pacificati della concentrazione profonda fornisce uno strumento in più , una sorta di 'piattaforma di lancio' da cui poi dirigere la presenza mentale verso gli oggetti di vipassana con più agio e, grazie alla concentrazione, a coglierne gli aspetti più sottili. Non solo questo, una mente abituata alla Metta gestisce con più facilità l'integrazione della pratica nella vita quotidiana. Dobbiamo sempre tenere presente a mio avviso che con la pratica meditativa esiste un rischio collaterale di chiusura al mondo o di unidirezionalità di attenzione verso se stessi. Ma il mondo è e resta 'là fuori', noi dobbiamo saperlo non solo conoscere, ma anche gestire.
Con affetto Giancarlo
Grazie Giancarlo. Ad agosto sarò al ritiro a Pian dei Ciliegi con Bhante Sujiva e ne parlerò anche con lui.
RispondiEliminaMa la tranquillità a cui si arriva con la meditazione di Samantha si può raggiungere anche attraverso altre pratiche? Io per esempio seguo le pratiche del dr Bhole, medico indiano e maestro di yoga e con queste riesco a raggiungere un buon livello di pace e quiete mentale, pur lavorando sempre con il respiro e non con le visualizzazioni.
Per quanto riguarda la chiusura nei confronti del mondo esterno, io spesso ho il problema che mi sento fin troppo coinvolta dai problemi delle persone che mi stanno intorno e fatic a "tenere le distanze". Anche Massimo mi ha consigliato di praticare la medta e a volte lo faccio, ma mi risulta comunque un po forzata.
Ancora grazie.
Grazie Giancarlo. Ad agosto sarò al ritiro a Pian dei Ciliegi con Bhante Sujiva e ne parlerò anche con lui.
RispondiEliminaMa la tranquillità a cui si arriva con la meditazione di Samantha si può raggiungere anche attraverso altre pratiche? Io per esempio seguo le pratiche del dr Bhole, medico indiano e maestro di yoga e con queste riesco a raggiungere un buon livello di pace e quiete mentale, pur lavorando sempre con il respiro e non con le visualizzazioni.
Per quanto riguarda la chiusura nei confronti del mondo esterno, io spesso ho il problema che mi sento fin troppo coinvolta dai problemi delle persone che mi stanno intorno e fatic a "tenere le distanze". Anche Massimo mi ha consigliato di praticare la medta e a volte lo faccio, ma mi risulta comunque un po forzata.
Ancora grazie.
Grazie a te Gloria,
RispondiEliminaci incroceremo a PdC allora io sarò su fino al 20/22. Si certo che ci sono pratiche simili alla Metta che consentono di giungere agli stati pacificati. Le pratiche di Samatha comprendono tutte le recitazioni di mantra e le visualizzazioni, per certi versi anche il rosario e le preghiere cristiane vi possono essere annoverate. Non conosco le pratiche di Bhole, ma tutte le pratiche del vasto universo yoga, sono pratiche di Samatha.
In generale quando si avvertono resistenze o forzature facendo Metta, ci segnalano quanto sia forte il condizionamento dei modelli culturali e sociali della società nella quale viviamo. Piena di individualismo e competitività. Anche la fatica a tenere le distanze in fondo non è forse, sotto certi aspetti, una impropria identificazione con i problemi o le dinamiche altrui....
ciao a presto