Una delle questioni che dobbiamo porci quando ci
accostiamo alla spiritualità e alla meditazione ha a che fare con quanto
realmente desideriamo metterci in gioco per costruire un percorso di crescita personale
efficace, assumendoci le responsabilità di fare quelle scelte necessarie all'evoluzione e in grado
di liberarci.
Il cammino spirituale che stiamo seguendo ci
connette o ci sconnette da quanto è veramente importante? Ovvero siamo davvero
pronti e intenzionati ad intraprendere il
percorso non privo di difficoltà che ci farà incontrare, conoscere e integrare
la nostra ombra personale e collettiva, le parti negative e ‘poco nobili’che in
determinate situazioni sorgono e si presentano?
Oppure la spinta che ci conduce a cercare la
spiritualità è la ricerca di un rifugio o una soluzione facile ai nostri
problemi, una riduzione dello stress ‘tout court’, così decisamente in voga in
questi tempi?
In questo caso le pratiche, o ciò in cui crediamo, non
aiutano ad elevarci, ma soltanto ad evitare il faticoso transito dentro l’esame
di noi stessi e l’auto osservazione. Il
rischio è quello di utilizzare nobili ed elevate tradizioni e pratiche
spirituali per narcotizzare la voce interiore che ci dice che qualcosa non va.
Per nascondere sotto il tappeto i conflitti e le difficoltà che chiedono di
essere affrontati, una specie di By-Pass spirituale insomma.
Forse stiamo solo
provando ad elevarci oltre il lato reale della nostra umanità prima di esserci
confrontati veramente con essa e averci fatto pace. Forse ci facciamo scudo di convinzioni
più elevate per considerare superficialmente gelosia, rabbia, presunzione od orgoglio, considerandoli stati mentali di difficile gestione in quanto bassi e negativi, come emozioni ‘poco spirituali’
Credo che questo sia una specie di pericolo insito delle
pratiche spirituali, perché "la mente" è assai abile e sottile nel
creare le sue illusioni, ancor più abile nel creare 'nobili vie traverse'.
Per esempio in meditazione: l’insegnamento che
spesso viene dato è che i pensieri, gli stati mentali e le emozioni non hanno
un’esistenza reale, che sono soltanto illusioni del Samsara e che pertanto non
dobbiamo prestare loro attenzione, meglio lasciarli andare come ‘nuvole che
passano nel cielo’: “devi riconoscerle come forme vuote, transitorie e passare
oltre” è il consiglio che ricevono i meditanti.
Questo può essere certamente utile in ambito della pratica meditativa, ma
non sempre e non quando quei contenuti si presentano con continuità e forza a
presentarci il ‘dukkha’ nei processi mentali, allora forse dobbiamo lasciarli venire, dobbiamo starci, sapere,
conoscere le condizioni, osservarne le qualità e le caratteristiche.
Nelle situazioni della vita poi queste stesse parole
possono essere usate per reprimere o negare emozioni che richiedono la nostra
attenzione chiedendo di essere conosciute e riconosciute, che ci chiedono anche
di decidere, di scegliere se assecondarle o meno, ponendoci dilemmi etici
relativi ai nostri comportamenti.
Di certo vi è che non c’è nulla di istantaneo
nel processo di crescita spirituale e personale. Coloro che in quest’ambito
raggiungono una certa maturità lo fanno con anni di lavoro interiore e
sincerità, in essi il frutto giunge a maturazione dopo che il campo è stato lavorato e coltivato con costanza, invece di
essere colto prematuramente dai rami o prescelto in qualche banco del mercato.
Nelle donne e negli uomini che scelgono con
sincerità di temprarsi spiritualmente, siano monaci, grandi maestri o semplici
compagni nel dhamma, riconosciamo sempre una caratteristica di
integrità e radicamento. Non sono anime disincarnate né vogliono sembrarlo. Non
sono, né si pretendono esseri superiori, al di là di nulla.
Per questo sono capaci di abbracciare la complessità
di quelli che li circondano con amorevolezza e di mostrare il cammino verso la
liberazione, senza scorciatoie, né illusioni di santità, con semplice vocazione
umana.
Ancora una volta a noi la scelta, ci ‘riduciamo lo stress’ o decidiamo di guardare oltre?
Non sarei per un aut aut,ridurre lo stress o decidere di guardare oltre.Vedere lo stress, ossia la sofferenza, è già molto, e vedere come si configura in termini di pensieri e reazioni, quindi imparare a notarli e a non identificarcisi, apre comunque uno spazio che accenna a un oltre.E lasciare andare i pensieri spesso non salutari e ripetitivi, implica che prima li hai visti. E' a partire da questo spazio che ciascun meditante lavora, vedendo un mucchio di sofferenza inutile che si autoprocura, in un'alternanza di spazi sottratti alla sofferenza e di sempre nuove forme e occasioni di stress e sofferenza, che però, via via si riducono.Sono d'accordo che si impara ad essere sempre più radicati e impegnati, ma su un altro fronte, quello di non prendersi sul serio.Niente bypass...
RispondiEliminaPer sapere che cosa evitare, prima bisogna imparare a riconoscerlo con certezza, fino a percepirne gli indizi prima che si presenti. Bella riflessione, grazie.
RispondiEliminaVero Marco, conoscerlo e riconoscerlo con certezza..
Eliminagrazie di essere passato di quà