mercoledì 2 aprile 2014

La nota mentale in meditazione vipassana

Brevi cenni sulla “nota mentale” e il suo utilizzo

Si tratta di un metodo utilizzato nel sistema integrato di tecniche meditative della scuola birmana che ha in Mahasi Sayadaw il suo fondatore. Conosciuta anche come:
'notare e nominare/etichettare' o in inglese 'mental noting and labelling' 
In pratica si tratta di esprimere mentalmente una parola che descrive ciò che viene sperimentato nel corpo o nella mente nel momento presente.
Nominiamo le sensazioni, i processi, gli stati mentali, i pensieri, le emozioni, ecc., ovvero nominiamo ciò che sperimentiamo nel momento in cui accade e lo facciamo senza analizzare, paragonare, giudicare e senza dedicare alcuna riflessione o elaborazione. Ci affidiamo all’intuizione e alla percezione e cerchiamo di utilizzare una parola sola evitando frasi composte; la mente è in grado di farlo in modo intuitivo e preciso, spesso questo atteggiamento meditativo viene chiamato “nuda attenzione”
Quali sono le ragioni della nota mentale, perche la si utilizza:
·         Agli inizi aiuta la mente a dirigersi verso l’oggetto
·         Previene il divagare della mente dall’oggetto, ovvero aiuta a non pensare a qualcos’altro
·         La mente è impegnata in una attività proficua
·         Rende oggettiva la consapevolezza, evita la soggettivizzazione con opinioni o giudizi
·         Chiarifica e conferma il singolo oggetto che viene osservato, evitando che si confonda con qualcos’altro
·         Supporta l’andamento dell’osservazione fino a che l’oggetto resta predominante
·         Rinforza il lavoro della presenza mentale
Quando si cambia la nota:
·         L’oggetto scompare ed è rimpiazzato da un oggetto più evidente
·         L’oggetto è cambiato
·         L’oggetto scompare
·         L’oggetto diventa confuso od indistinto oppure ci si disinteressa ad esso
Cosa fare se gli oggetti sono confusi o sembra che non vi sia alcun oggetto chiaro da nominare:
·         Utilizzare la nota “confuso, confuso”, “preoccupato, preoccupato” o qualcosa che descriva lo stato del momento, fino a che la mente non ritrova chiarezza, per poi proseguire con il prossimo processo che sorge
·         Sospendere l’etichettatura continuando ad osservare l’attività con una mente quieta e con una “attenzione nuda” e non giudicante
·         Scegliere un oggetto particolare come il salire e scendere dell’addome e etichettarlo con “salire” e ”scendere”

Oggetti che è meglio astenersi dal etichettare:
  • ·         Battito cardiaco
  • ·         Dolore nella cassa toracica
  • ·         Dolore nella testa

Perché ?
Quando ci si concentra su qualche cosa, questa può apparire più intensa o ingrandirsi. Nello specifico, trattandosi dei nostri principali organi e sistemi vitali, è molto facile preoccuparsi e spaventarsi, se sono essi ad essere al centro della nostra osservazione.
Quindi se abbiamo qualche dolore nella cassa toracica o in testa cerchiamo di restare rilassati ed osserviamo con gentilezza, possiamo utilizzare anche una leggera nota mentale come “sensazione, sensazione”, oppure possiamo anche non etichettare restando in osservazione con una consapevolezza a “distanza”.
Ricordiamo anche che non è necessario etichettare qualcosa fino a che non scompare, potrebbe anche non scomparire. Evitiamo anche di usare consapevolezza ed etichettatura come armi per far scomparire qualcosa che non ci piace: per esempio potrebbe succedere di etichettare un dolore per mezz’ora o più, in un caso del genere se notiamo il desiderio che il dolore cessi allora possiamo anche decidere di notare “desiderio”.
Anche nel caso di un rumore fastidioso e continuo, come un motore o altro, non vi è la necessità di una continua etichettatura, semplicemente lo si osserva ed si etichetta il primo oggetto predominante successivo.  
Ovviamente a un certo punto della pratica si diventa più esperti e la nota mentale tende a trasformarsi in un concetto che appare e scompare nel campo della coscienza assieme al sorgere e svanire degli oggetti, ma, nei momenti confusi o quando siamo coinvolti in qualche stato emotivo particolarmente intenso, è bene ricordarsi della “nota mentale”, perché è di grande aiuto nel processo di disidentificazione rispetto all’esperienza del momento. In altre parole la “nota mentale”, ogni volta che la utilizziamo, ci ricorda che

  • stiamo nominando un “processo”, sia esso fisico o mentale
  • ciò che conosce è un processo esso stesso, ma diverso dal processo conosciuto

A un certo punto può succedere, con lo svilupparsi della meditazione, che i processi sia fisici che mentali diventino talmente veloci, numerosi e, diciamo così, sottili che risulta difficile tenere il passo della “nota mentale” rispetto al succedersi degli oggetti: va bene così!
Questo significa che la meditazione e la consapevolezza sono pronte per uno stadio successivo e quindi possiamo tralasciare di notare in modo sistematico, lasciando che la mente prenda nota in modo intuitivo di tutto ciò che sorge e passa; ma ogni qualvolta ci accorgiamo che proliferano pensieri e divagazione mentale dobbiamo essere vigili e pronti a riutilizzare la “nota mentale” per riportare stabilità e presenza mentale.


2 commenti:

  1. Sto utilizzando la tecnica della nota mentale solo da poco e devo dire che la trovo particolarmente efficace nel controbilanciare la tendenza al torpore/sonnolenza che di solito provo quando seguo solo un oggetto (respiro o l'"inner sound"): il nominare non mi fa cadere nella trappola della trance ipnotica. Secondo Sujiva e le mie modeste prove empiriche la velocità nel notare infatti può essere utilizzata per risvegliare l'attenzione, in quel binomio energia/concentrazione che, quando equilibrato, dà il tono corretto alla consapevolezza/sati.

    (Credo che, in altre tradizioni, questa finalità di tenere accesa l'energia venga ottenuta con il mantenere forzatamente una data postura, come nello zen, oppure con il percorrere continuamente il corpo con l'attenzione, come in Goenka).

    Trovo più problematico capire quando interrompere l'etichettatura mentale: scrivi "Ovviamente a un certo punto della pratica si diventa più esperti e la nota mentale tende a trasformarsi in un concetto che appare e scompare nel campo della coscienza assieme al sorgere e svanire degli oggetti". Questo mi pare già piuttosto avanzato (forse ti riferisci al primo insight per come l'ho capito io, ovvero al percepire l'impermanenza dell'oggetto e della mente che conosce, nello stesso istante in cui avviene il conoscere). Più prosaicamente io interrompo il "notare" quando mi accorgo che sto diventando troppo teso oppure quando raggiungo una chiarezza di percezione che reputo sufficiente - e qui potrebbe essere che mi inganno, e che farei meglio a proseguire con il notare...

    Ti ringrazio per l'articolo interessante.

    Ciao,
    Roberto

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  2. ciao Roberto,
    in effetti la nota mentale ha una relazione con l'attivazione dell'energia, cosi come è molto utile nel rafforzare a livello mentale la precisione e la nitidezza di ciò che Sati e la percezione conoscono momento dopo momento, sebbene l'espressione di una nota mentale sia una manifestazione ancora concettuale, l'espressione verbale mentale è di grande supporto nella chiara definizione dell'oggetto conosciuto.

    L'abbandono della nota mentale diventa inevitabile negli stati un poco più progrediti della pratica, quando il flusso dei fenomeni diventa più sottile e rapido, legato alla percezione delle sensazioni sottili o delle coscienze che sorgono e passano. Dal punto di vista del progresso dell'insight potremmo dire che questi momenti giungono con la maturazione del terzo/quarto/quinto insight, ma questo è un terreno delicato, che può veramente venire preso in considerazione nel corso della pratica e nella relazione yogi/insegnante durante un ritiro

    ciao
    g

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