domenica 17 novembre 2019

Abhidhamma nella vita quotidiana. Capitolo 4 - La brama o cupidigia



Proseguiamo con il 4° capitolo di Abhidhamma nella Vita Quotidiana di Nina Van Gorkom. Nel capitolo vengono esposte le caratteristiche della cupidigia o brama (lobha), uno dei cosiddetti tre veleni o 3 influssi negativi nei quali si radicano tutti gli altri, e di come la brama influenza e si manifesta nei nostri stati di coscienza  .

L'Abhidhamma è il terzo dei canestri (raccolte) del Canone Buddhista ed è un’esposizione dettagliata di tutte le realtà, costituisce una risorsa fondamentale per comprendere appieno la visione buddhista della mente e della realtà.
La pubblicazione della versione italiana è stata curata da A.S.Comba. Segnalo a tutti voi la pagina web di lulu.com di Antonella Comba nella quale pubblica i suoi lavori, potete trovare molte risorse di fondamentale per lo studio del buddhismo. Antonella ha tradotto dal Pali testi di grande importanza che è possibile scaricare in formato .pdf per consultazione, oppure riceverli rilegati.
Ad Antonella, amica e compagna nel Dhamma, va il mio personale ringraziamento per il suo lavoro.

N.B. questi argomenti sono di grande rilevanza per comprendere pienamente il pensiero, la metafisica e la visione della mente dal punto di vista buddhista, costituiranno tema di approfondimento nei futuri Incontri Domenicali
CAPITOLO IV

 Le caratteristiche del lobha (cupidigia)

I citta (le coscienze) sono di vari tipi: si possono classificare come kusala-citta (coscienze salutari), akusala-citta (coscienze non salutari), vipāka-citta (coscienze “risultanti”, cioè effetti) e kiriya-citta (coscienze “funzionali”, cioè citta che non sono né cause né effetti). In un solo giorno possono sorgere tutti questi tipi di citta, ma noi ne sappiamo ben poco. Per la maggior parte del tempo non ci rendiamo conto se un citta è kusala, akusala, vipāka o kiriya. Se impariamo a distinguere i vari tipi di citta, possiamo capire meglio noi stessi e gli altri; di conseguenza possiamo avere più compassione e gentilezza amorevole verso gli altri, anche se si comportano in un modo sgradevole.
Di solito non amiamo gli akusala-citta degli altri: troviamo spiacevole che essi siano falsi o che ci dicano parole aspre. Ma sappiamo in quali momenti sia- mo noi ad avere akusala-citta? Quando non ci piacciono le parole dure degli altri, noi abbiamo, proprio in quello stesso istante, akusala-città con avversione. Invece di fare attenzione agli akusala-citta degli altri, dovremmo essere consapevoli dei nostri. Se qualcuno non ha studiato l’Abhidhamma che spiega in dettaglio le varie realtà, può non sapere che cos’è un akusala-citta: può scambiare l’akusala per il kusala e così accumulare ciò che non è salutare senza neppure accorgersene. Ma se discerniamo meglio i diversi tipi di citta, possiamo vedere da soli quali sono quelli che sorgono più spesso in noi – kusala-citta o akusala-citta e così capire meglio noi stessi.

Dovremmo innanzi tutto vedere la differenza fra kusala e akusala. L’Aṭṭha-sālinī illustra i numerosi significati della parola kusala: oltre che alla salute (ārogya), essa si riferisce all’essere “irreprensibili” (anavajja), “abili” (cheka) e al dare “buoni risultati” (sukha-vipāka).

Quando pratichiamo il dāna (la generosità), il sīla (la condotta morale) e la bhāvanā (la coltivazione della mente), il citta è kusala. Tutti i vari tipi di azioni salutari, come apprezzare le azioni positive degli altri, aiutare gli altri, essere gentili, dimostrare rispetto, osservare i precetti, studiare e insegnare il Dhamma, praticare il samatha (calma concentrata) e la vipassanā (visione profonda, sviluppo della visione, retta comprensione delle realtà), sono comprese nel dāna, nel sīla o nella bhāvanā. Il kusala produce buoni risultati nel senso che ogni buona azione provoca un effetto positivo. Riguardo all’akusala, l’Aṭṭha-sālinī osserva che a-kusala significa “non proficuo”. Come i nemici (amitta) sono l’opposto degli amici (mitta), come la generosità (alobha) ecc. è l’opposto della cupidigia (lobha) ecc., così il non salutare (akusala) è l’opposto del salutare (kusala).

Le azioni non salutari provocheranno risultati negativi. Nessuno desidera sperimentare un effetto negativo, ma molti ignorano la causa che lo produce, l’akusala, e non si rendono conto dei momenti in cui il citta è non salutare, né sono sempre consapevoli di avere un citta non salutare ogni qual volta compiono azioni non salutari.

Quando studiamo l’Abhidhamma, impariamo che ci sono tre gruppi di akusala-citta:
  •  i lobha-mūla-citta o citta radicati nella cupidigia o brama (lobha);
  •  i dosa-mūla-citta o citta radicati nell’avversione (dosa);
  •  i moha-mūla-citta o citta radicati nella confusione o ignoranza rispetto alla natura dei fenomenu (moha).

Il moha o confusione sorge con ogni akusala-citta.

Gli akusala-citta radicati nel lobha hanno in realtà due radici: il moha e il lobha. Sono chiamati lobha-mūla-citta perché in essi non c’è solo il moha, che sorge con ogni akusala-citta, ma anche il lobha. I lobha- mūla-citta sono quindi così chiamati perché hanno come radice il lobha.

Gli akusala-citta radicati nel dosa hanno anch’essi due radici: il moha e il dosa. Sono chiamati dosa-mūla-citta perché hanno come radice il dosa.

Gli akusala-citta radicati nel moha hanno invece una sola radice, il moha. Ciascuna di queste tre classi di akusala-citta comprende a sua volta diversi tipi di akusala-citta; pertanto esiste una gran varietà di citta.

Ora tratterò innanzi tutto del lobha-mūla-citta. Il lobha è un paramattha-dhamma (realtà assoluta) e un cetasika (fattore mentale che sorge insieme al citta); è una realtà e perciò può essere sperimenta- to. Il lobha è cupidigia o attaccamento. Secondo Buddhaghosa,

La cupidigia ha la caratteristica di incollarsi all’oggetto. La sua funzione è attaccarsi, come un pezzo di carne gettato in una padella rovente. La sua espressione diretta è il non lasciare andare, come il colore del nerofumo oleoso. La sua causa prossima è vedere il godimento in oggetti o fenomeni e che a causa di ciò ci legano ad essi . Bisogna considerarla come qualcosa che gonfia per il fiume della brama, ghermisce e trascina negli stati inferiori, come un corso d’acqua dalla rapida corrente ghermisce un relitto e lo trascina verso il grande oceano.

Il termine lobha è talvolta tradotto con “avidità” o “desiderio”. Può essere reso in vari modi, dato che ci sono varie gradazioni di lobha. La cupidigia può essere grossolana, media o sottile. La maggior parte delle persone riconosce il lobha allorché è molto evidente, ma non quando è meno intenso. Per esempio, possiamo riconoscerne la presenza quando siamo inclini a mangiare in eccesso un cibo delizioso, o quando siamo attaccati all’alcool o alle sigarette, oppure quando ci attacchiamo ai nostri cari e soffriamo se li perdiamo a causa della loro morte. Allora possiamo vedere come la cupidigia e l’attaccamento producano sofferenza.

Talvolta l’attaccamento è evidente, ma si presenta in varie gradazioni e spesso possiamo non renderci conto di averne. I citta sorgono e svaniscono molto rapidamente, per cui è possibile non accorgersi quando la brama sorge a causa di ciò che si sperimenta nella vita quotidiana attraverso le sei porte sensoriali, specialmente se l’intensità non è forte come quando si presenta come avidità o della brama. Ogni volta che c’è un oggetto visibile, un suono, un odore, un sapore o un oggetto tangibile piacevole, è probabile che sorga il lobha. Esso sorge molte volte al giorno. Il lobha si manifesta quando sono presenti le condizioni affinché ciò avvenga: non è soggetto al nostro controllo. In molti Sutta il Buddha parla del lobha, ne fa rilevare gli aspetti negativi e mostra la via per vincerlo. Gli oggetti piacevoli che possono essere sperimentati attraverso i cinque sensi sono chiamati in parecchi Sutta “le cinque corde (guṇa) del desiderio”.

Nel Mahā-dukkha-khandha-sutta (“Grande discorso sulla massa della sofferenza”) leggiamo che il Buddha, quando soggiornava a Sāvatthī, nel boschetto di Jeta, disse ai monaci:

E qual è, o monaci, l’aspetto positivo dei desideri? Cinque, o monaci, sono le corde dei desideri. Quali sono queste cinque [corde]? Le forme conoscibili dall’occhio, desiderabili, amabili, gradevoli, care, connesse con i desideri, allettanti. I suoni conoscibili dall’orecchio... Gli odori conoscibili dal naso... I sapori conoscibili dalla lingua... Gli oggetti tangibili conoscibili dal senso corporeo, desiderabili, amabili, gradevoli, cari, con-nessi con i desideri, allettanti. Queste, o monaci, sono le cinque corde dei desideri. Qualsiasi sensazione piacevole corporea, qualsiasi sensazione piacevole mentale (somanassa) sorga grazie a queste cinque corde dei desideri, è l’aspetto positivo dei desideri.

L’aspetto positivo dei desideri non è vera felicità. Coloro che non conoscono gli insegnamenti del Buddha possono pensare che questa cupidigia sia salutare, specialmente quando sorge insieme a sensazioni piacevoli mentali: possono non conoscere la differenza fra la cupidigia e la gentilezza amorevole (mettā), fenomeni che possono essere entrambi accompagnati da sensazioni piacevoli mentali. Tuttavia un citta accompagnato da una sensazione piacevole mentale non è necessariamente un kusala-citta. Quando impariamo di più circa i kusala-citta e gli akusala-citta e quando siamo consapevoli delle loro caratteristiche, notiamo che la sensazione piacevole mentale che può sorgere con il lobha-mūla-citta (il citta radicato nella cupidigia) è diversa da quella che può sorgere con il kusala-citta. La sensazione o vedanā è un cetasika  (stato mentale) che sorge con ogni citta. Quando il citta è akusala, la sensazione è anche akusala; quando invece il citta è kusala, lo è pure la sensazione. Possiamo riuscire a distinguere la caratteristica della sensazione piacevole mentale che sorge quando proviamo cupidigia per un oggetto visibile gradevole o per un suono piacevole dalla caratteristica della sensazione piacevole mentale che sorge quando pratichiamo la generosità.

Il Buddha sottolineò che il lobha porta sofferenza. Quando perdiamo persone che amiamo, o quando non abbiamo più le cose che ci danno gioia, noi soffriamo. Se siamo attaccati a una vita confortevo- le, possiamo provare avversione quando dobbiamo sopportare privazioni o quando le cose non vanno nel modo in cui vorremmo che andassero.

Nel Mahā-dukkha-khandha-sutta sopra citato leggiamo che il Buddha così parlò ai monaci degli aspetti negativi dei desideri:

E qual è, o monaci, l’aspetto negativo insito nei desideri? Ora, o monaci, un figlio di [nobile] famiglia si guadagna da vivere con un mestiere con il controllo, il rendiconto, il calcolo, l’agricoltura, il commercio, la pastorizia, il tiro con l’arco, il lavoro al servizio del re o qualsiasi altro mestiere; egli affronta il freddo e il caldo, e può entrare in contatto con tafani, zanzare, vento, sole, animali che strisciano, o può morire di fame e di sete. Questo, o monaci, è l’aspetto negativo insito nei desideri, visibile qui e ora; è una massa di sofferenza che ha per causa il desiderio, che ha come fonte il desiderio, ha per motivo il desiderio; è a sua volta causa di desideri.

Monaci, se il figlio di [nobile] famiglia si attiva, si adopera, si sforza, ma non ottiene ricompense, si duole, si affatica, si lamenta, grida percuotendosi il petto e cade in confusione, [pensando:] “Ohimé, la mia attività è vana, il mio sforzo è inutile!”. Anche questo, o monaci, è un aspetto negativo insito nei desideri [...].

Inoltre, o monaci, quando [l’aspetto negativo] ha per causa il desiderio... i re litigano con i re, i guerrieri con i guerrieri, i brahmani con i brahmani, i capifamiglia con i capifamiglia, la madre con il figlio, il figlio con la madre, il padre con il figlio, il figlio con il padre, il fratello con il fratello, il fratello con la sorella, la sorella con il fratello, l’amico con l’amico. Coloro che così discutono, polemizzano, litigano, si percuotono con le mani, con pietre, bastoni e coltelli, per cui muoiono o soffrono come se morissero. Anche questo, o monaci, è un aspetto negativo insito nei desideri...

Leggiamo poi che ci sono molti altri aspetti negativi nei desideri, e che potrebbero a loro volta provocare in seguito effetti negativi. Il Buddha parlò anche dell’aspetto positivo e negativo delle “forme” (rūpa):

E qual è, o monaci, l’aspetto positivo delle forme? Poniamo, o monaci, che ci sia una fanciulla guerriera, una fanciulla brahmana o una fanciulla figlia di un capofamiglia, avente quindici o sedici anni, non troppo alta né troppo bassa, non troppo magra né troppo grassa, non troppo scura né troppo chiara; sarebbe al-lora bellissima e splendida nel colorito?”. “Sì, Venerabile”.

“Il piacere (sukha) e la sensazione piacevole mentale che sorgono grazie alla bellezza e allo splendore del colorito sono l’aspetto positivo delle forme.

E qual è, o monaci, l’aspetto negativo delle forme? Ecco, o monaci: si può vedere questa stessa donna in un altro momento, quando ha ottant’anni, novant’anni o cent’anni, invecchiata, curva come la trave che sostiene un tetto, piegata in due, appoggiata a un bastone, con un passo malfermo, inferma, abbandonata dalla gioventù, con i denti rotti, i capelli grigi e radi, calva, rugosa, con il corpo cosparso di macchie. Che cosa pensate, o monaci? La sua bellezza e lo splendore del suo colorito non sono forse svaniti? Non si è allora manifestato l’aspetto negativo?” “Sì, Venerabile”.

“Anche questo, o monaci, è l’aspetto negativo delle forme".

Quanto il Buddha disse ai monaci può parerci duro, ma è la realtà. Troviamo difficile accettare la vita così com’è: nascita, invecchiamento, malattia e morte. Non possiamo sopportare il pensiero che il nostro corpo o quello di una persona cara possano diventare cadaveri. Accettiamo di essere nati, ma abbiamo difficoltà ad accogliere in noi anche le conseguenze della nascita, cioè la vecchiaia, l’infermità e la morte: desideriamo ignorare l’impermanenza di tutte le cose condizionate. Quando ci guardiamo allo specchio e ci prendiamo cura del nostro corpo, siamo inclini a considerarlo come duraturo e come un bene che ci appartiene. Tuttavia il corpo è solo rūpa, una serie di forme che sorgono e subito dopo svaniscono. Non c’è alcuna particella del corpo che duri a lungo.

L’attaccamento al corpo è una visione errata, uno stato mentale che può sorgere solo con un lobha-mūla-citta. Talvolta non è accompagnato dalla visione errata, tal'altra invece lo è.

Ci sono diversi tipi di visione o diṭṭhi: per esempio, la credenza in un “sé” è un tipo di visione. Con la visione errata di un sé, possiamo attaccarci ai fenomeni mentali, come pure a quelli fisici. Qualcuno crede che nella vita presente esista un sé, il quale continuerà a sussistere an- che dopo la morte. Questo è “eternalismo”. Altri credono in un sé che esiste solo nella vita presente e si distrugge al momento della morte. Questo è “nichilismo”.

Un altro tipo di diṭṭhi è la credenza che non vi sia alcun kamma a produrre vipāka, cioè che le azioni non provochino risultati. In vari paesi ci sono persone che pensano di potersi purificare dalle impurità soltanto facendo abluzioni nell’acqua o pregando: sono convinte che il risultato delle azioni negative che hanno commesso si possa evitare in questo modo. Non sanno che ogni azione causa il proprio effetto, e che possiamo purificarci dalle impurità soltanto se coltiviamo la saggezza che le estirpa. Se si pensa che le azioni non causino i propri effetti, si può essere portati a credere che coltivare ciò che è salutare sia inutile. Questo tipo di credenza può condurre ad azioni negative e alla corruzione della società.

Ci sono otto tipi di lobha-mūla-citta; fra questi, quattro sorgono insieme alla visione errata, cioè sono diṭṭhigata-sampayutta (“associati a visione errata”). Quattro tipi di lobha-mūla-citta sorgono invece senza visioni errate, cioè sono diṭṭhigata-vippayutta (“non associati a visione errata”).

Quanto alle sensazioni che li accompagnano, i lobha-mūla-citta possono sorgere con sensazioni piacevoli mentali (somanassa) o neutre (upekkhā), ma mai con sensazioni spiacevoli mentali (domanassa). Fra i quattro tipi di lobha-mūla-citta accompagnati da diṭṭhi, due sorgono insieme alla sensazione piacevole mentale (in pāli, somanassa-sahagata, dove sahagata significa “accompagnato”). Gli altri due tipi sorgono con una sensazione neutra (in pāli, upekkhā-sahagata). Per esempio, quando ci si attacca all’idea che c’è un sé il quale continua a esistere, il citta può essere accompagnato dalla sensazione piacevole mentale o da una sensazione neutra. Dei quattro lobha-mūla-citta che sorgono senza diṭṭhi, due tipi sono accompagnati da sensazione piacevole mentale e due da sensazioni neutre. Così, degli otto tipi di lobha-mūla-citta, quattro tipi sorgono con sensazione piacevole mentale e quattro tipi con una sensazione neutra.

Per classificare i lobha-mūla-citta bisogna fare ancora un’altra distinzione. I lobha-mūla-citta possono essere “non indotti” (asaṅkhāra, asaṅkhārika, lett. “non associati a formazioni”) o “indotti” (sasaṅkhāra, sasaṅkhārika, lett. “associati a formazioni). Asaṅkhārika può anche essere tradotto con “non incitato”, “non stimolato” o “spontaneo”; sasaṅkhārika con “incitato” o “stimolato”. Secondo il Visuddhi-magga, il lobha-mūla-citta può essere sasaṅkhārika quando è con una mente torpida e sollecitata.

I lobha-mūla-citta che sono sasaṅkhārika possono essere indotti dal consiglio o dalla richiesta di qualcun altro, oppure possono sorgere stimolati da se stessi. Quando i citta sono sasaṅkhārika, sono torpidi e sollecitati; non sono acuti, sono più deboli di quando sono asaṅkhārika.

Dei quattro lobha-mūla-citta che sorgono con diṭṭhi, due tipi sono non indotti (asaṅkhārika), mentre due tipi sono indotti (sasaṅkhārika). Quanto ai lobha-mūla-citta che sorgono senza diṭṭhi, due tipi sono non indotti, mentre due tipi sono indotti. Così, degli otto tipi di lobha-mūla-citta, quattro sono non indotti e quattro indotti.

È utile apprendere i termini in pāli e il loro significato, perché la traduzione in altre lingue non consente di comprendere bene il significato delle realtà.

Gli otto tipi di lobha-mūla-citta sono dunque i seguenti:

1. Uno accompagnato da sensazione piacevole mentale, associato a visione errata, non indotto (somanassa-sahagataṃ diṭṭhigata-sampayuttaṃ asaṅkhārikam ekaṃ).

2. Uno accompagnato da sensazione piacevole mentale, associato a visione errata, indotto (somanassa-sahagataṃ diṭṭhigata-sampayuttaṃ sasaṅkhārikam ekaṃ).

3. Uno accompagnato da sensazione piacevole mentale, non associato a visione errata, non indotto (somanassa- sahagataṃ diṭṭhigata-vippayuttaṃ asaṅkhārikam ekaṃ).

4. Uno accompagnato da sensazione piacevole mentale, non associato a visione errata, indotto (somanassa-sahagataṃ diṭṭhigata-vippayuttaṃ sasaṅkhārikam ekaṃ).

5. Uno accompagnato da una sensazione neutra, associato a visione errata, non indotto (upekkhā-sahagataṃ diṭṭhigata-sampayuttaṃ asaṅkhārikam ekaṃ).

6. Uno accompagnato da una sensazione neutra, associato a visione errata, indotto (upekkhā-sahagataṃ diṭṭhigata- sampayuttaṃ sasaṅkhārikam ekaṃ).

7. Uno accompagnato da una sensazione neutra, non associato a visione errata, non indotto (upekkhā-sahagataṃ diṭṭhigata-vippayuttaṃ asaṅkhārikam ekaṃ).

8. Uno accompagnato da una sensazione neutra, non associato a visione errata, indotto (upekkhā-sahagataṃ diṭṭhigata-sampayuttaṃ asaṅkhārikam ekaṃ).

Come abbiamo visto, i lobha-mūla-citta possono essere indotti o non indotti. L’Aṭṭha-sālinī (un commentario al canone) riporta un esempio di lobha-mūla-citta associati a diṭṭhi e indotti: il figlio di una nobile famiglia sposa una donna che ha visioni errate; si accompagna quindi con persone che hanno visioni errate, accetta gradualmente tali visioni, dopodiché esse lo rendono contento.

I lobha-mūla-citta non associati a visione errata e indotti (sasaṅkhārika) sorgono per esempio quando una persona che in un primo tempo non ha attaccamento per le bevande alcoliche, ci prende gusto dopo che qualcun altro l’ha persuasa a bere.

Come abbiamo visto, i lobha-mūla-citta possono essere accompagnati da una sensazione piacevole mentale o da una sensazione neutra. I lobha-mūla-citta non associati a visione errata e accompagnati da una sensazione piacevole possono per esempio sorgere quando ci rallegriamo vedendo un bel colore o udendo un suono gradevole. In tali istanti proviamo attaccamento senza nutrire una visione errata delle realtà. Quando siamo contenti di indossare bei vestiti, andiamo al cinema, ridiamo o parliamo con altri di cose piacevoli, ci possono essere molti momenti di godimento in cui è assente l’idea di un sé, ma ci possono anche essere momenti in cui c’è diṭṭhi e ci attacchiamo a un sé.

I lobha-mūla-citta non associati a visione errata e accompagnati da una sensazione neutra possono per esempio sorgere quando desideriamo alzarci o vogliamo prendere un oggetto; dal momento che in genere queste azioni non provocano in noi sensazioni piacevoli, in quei momenti ci può essere un lobha accompagnato da una sensazione neutra. Così possiamo vedere come il lobha motivi spesso le azioni più comuni della nostra vita quotidiana.

Domande:

1. Quando c’è il lobha, è sempre presente una sensazione piacevole mentale?

2. La diṭṭhi o visione errata sorge solo con il lobha-mūla-citta?

3. Quanti sono i tipi di lobha-mūla-citta? Perché è utile conoscerli?

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