domenica 19 novembre 2017

meglio non girarci intorno...

E’ meglio non girarci troppo intorno, la pratica meditativa non è una gradevole passeggiata e nemmeno una tecnica di rilassamento per rilasciare lo stress o una via per trovare la gioia. È piuttosto un percorso attraverso l’oscurità interiore.
Pian piano ci scopriamo ad abbandonare tutte le idee, le convinzioni e tutto ciò che pensavamo di noi e del mondo. Vuol dire entrare nelle 'terre dell’ombra' e confrontarsi faccia a faccia con le parti che si muovono sottotraccia nel continuum mentale, quelle nobili, ma soprattutto quelle meno nobili, quelle espresse e quelle che se ne stanno in profondità, ben nascoste in stato di latenza, ma pronte ad attivarsi quando si presentano le condizioni..

È lì che incontriamo tutte le illusioni, gli attaccamenti alle costruzioni concettuali, le false idee di chi siamo e cosa ci facciamo nel mondo. È lì che avviene il paziente lavoro di smantellamento.

Dobbiamo affrontare le false nozioni e vederle per ciò che sono. Questo è l’unico modo per tornare ad essere integri ed in armonia con ciò che siamo e con ciò che ci circonda. I sensi in questo non ci aiutano, ci rendono una immagine del mondo che si sfalda con il progresso meditativo e lo sviluppo della consapevolezza e della chiara comprensione
  • il corpo, così fisico e stabile nella sua spazialità diventa indistinto e vacuo allo sguardo interiore.
  • le percezioni, grazie alle quali riconosciamo le cose intorno a noi si rivelano per quello che sono, apparenze legate alle potenzialità delle porte sensoriali che si associano alle memorie del passato e a cui ci affidiamo un po’ troppo
  • le sensazioni, fisiche e mentali, ciò che è piacevole e spiacevole, ciò che accende le folate emotive sono pronte a sciogliersi come neve al sole, a svanire in una miriade di eventi transitori che svaniscono nell’istante in cui sorgono, le esperienze relative alla conoscenza del terzo e quarto insight, ne scuotono dapprima la consistenza per poi dissolverle.
  • i processi mentali che utilizziamo per comprendere e spiegare il mondo si rivelano instabili, pronti a svanire per tornare mutati, diversi, altri.
  • la coscienza, quell’entità identitaria alla quale strettamente ci associamo, si espande fino a farsi riconoscere come una vasta e immensa possibilità creativa, talmente vasta che il senso dell’io non trova più il suo luogo.
Piano, piano i punti di riferimento a cui ci affidiamo per riconoscerci e riconoscere il mondo intorno a noi si dimostrano sempre meno validi e solidi. Qualcuno ha descritto questo passaggio come… ‘un arrendersi totale, un processo di brutale onestà verso se stessi, una via di totale accettazione della verità, non importa quanto difficile sia sopportarla.’

Le prime sfide giungono dall’incontro con le sensazioni spiacevoli fisiche o mentali, questo perché la risposta automatica che ci ritroviamo a gestire è l’avversione, una delle radici negative più potenti e ancestrali. Ci vuole coraggio per gestirla, per restare in compagnia della rabbia e sperimentarne le molteplici sfumature. Discernimento, equilibrio e onestà con se stessi per giungere fino al momento in cui le forze che la sostengono iniziano ad indebolirsi, per osservarla poi svanire e dissolversi. Pronti, energetici e presenti per cogliere i segni di ciò che giunge dopo.

Una volta superato questo primo ed importante scoglio saranno gli attaccamenti ai contenuti mentali ed emotivi a presentare il conto. Attaccamenti alle idee, alle convinzioni con cui costruiamo il nostro senso di identità e tentiamo di spiegare il mondo. Scoprire che proprio da lì giunge sofferenza e insoddisfazione, scoprire che le nostre costruzioni mentali ci rendono fragili piuttosto che offrirci riparo e sicurezza è un sano shock che, una volta integrato, apre le porte ad una nuova posizione della nostra presenza. Più vivida e vera, più responsabile ed armoniosa, più distaccata dagli eventi e, paradossalmente, molto più efficiente.

Ciò che resta poi è l’ultima sfida per incamminarsi lungo la strada indicata dal Buddha verso la libertà, la verità e la pace. L’incontro con l’illusione, il velo che ci avvolge, ci illude e ci affascina.
A quel punto saremo soli, ma non del tutto se avremo assimilato gli insegnamenti e integrato le precedenti esperienze, se avremo avuto la fortuna, l’abilità e la sensibilità di aver coltivato una fertile relazione con un insegnante o con un compagno nel Dhamma. Noi possiamo farcela, possiamo compiere questo cammino, se non altro possiamo provarci.

Perché possiamo offrire una vertiginosa intensità al gioco della vita. Alè…

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