Pian piano ci scopriamo ad abbandonare tutte le idee, le convinzioni e tutto ciò che pensavamo di noi e del mondo. Vuol dire entrare nelle 'terre dell’ombra' e confrontarsi faccia a faccia con le parti che si muovono sottotraccia nel continuum mentale, quelle nobili, ma soprattutto quelle meno nobili, quelle espresse e quelle che se ne stanno in profondità, ben nascoste in stato di latenza, ma pronte ad attivarsi quando si presentano le condizioni..
È lì che incontriamo tutte le illusioni, gli attaccamenti alle costruzioni concettuali, le false idee di chi siamo e cosa ci facciamo nel mondo. È lì che avviene il paziente lavoro di smantellamento.
Dobbiamo affrontare le false nozioni e vederle per ciò che sono. Questo è l’unico modo per tornare ad essere integri ed in armonia con ciò che siamo e con ciò che ci circonda. I sensi in questo non ci aiutano, ci rendono una immagine del mondo che si sfalda con il progresso meditativo e lo sviluppo della consapevolezza e della chiara comprensione
- il corpo, così fisico e stabile nella sua spazialità diventa indistinto e vacuo allo sguardo interiore.
- le percezioni, grazie alle quali riconosciamo le cose intorno a noi si rivelano per quello che sono, apparenze legate alle potenzialità delle porte sensoriali che si associano alle memorie del passato e a cui ci affidiamo un po’ troppo
- le sensazioni, fisiche e mentali, ciò che è piacevole e spiacevole, ciò che accende le folate emotive sono pronte a sciogliersi come neve al sole, a svanire in una miriade di eventi transitori che svaniscono nell’istante in cui sorgono, le esperienze relative alla conoscenza del terzo e quarto insight, ne scuotono dapprima la consistenza per poi dissolverle.
- i processi mentali che utilizziamo per comprendere e spiegare il mondo si rivelano instabili, pronti a svanire per tornare mutati, diversi, altri.
- la coscienza, quell’entità identitaria alla quale strettamente ci associamo, si espande fino a farsi riconoscere come una vasta e immensa possibilità creativa, talmente vasta che il senso dell’io non trova più il suo luogo.
Le prime sfide giungono dall’incontro con le sensazioni spiacevoli fisiche o mentali, questo perché la risposta automatica che ci ritroviamo a gestire è l’avversione, una delle radici negative più potenti e ancestrali. Ci vuole coraggio per gestirla, per restare in compagnia della rabbia e sperimentarne le molteplici sfumature. Discernimento, equilibrio e onestà con se stessi per giungere fino al momento in cui le forze che la sostengono iniziano ad indebolirsi, per osservarla poi svanire e dissolversi. Pronti, energetici e presenti per cogliere i segni di ciò che giunge dopo.
Una volta superato questo primo ed importante scoglio saranno gli attaccamenti ai contenuti mentali ed emotivi a presentare il conto. Attaccamenti alle idee, alle convinzioni con cui costruiamo il nostro senso di identità e tentiamo di spiegare il mondo. Scoprire che proprio da lì giunge sofferenza e insoddisfazione, scoprire che le nostre costruzioni mentali ci rendono fragili piuttosto che offrirci riparo e sicurezza è un sano shock che, una volta integrato, apre le porte ad una nuova posizione della nostra presenza. Più vivida e vera, più responsabile ed armoniosa, più distaccata dagli eventi e, paradossalmente, molto più efficiente.
Ciò che resta poi è l’ultima sfida per incamminarsi lungo la strada indicata dal Buddha verso la libertà, la verità e la pace. L’incontro con l’illusione, il velo che ci avvolge, ci illude e ci affascina.
A quel punto saremo soli, ma non del tutto se avremo assimilato gli insegnamenti e integrato le precedenti esperienze, se avremo avuto la fortuna, l’abilità e la sensibilità di aver coltivato una fertile relazione con un insegnante o con un compagno nel Dhamma. Noi possiamo farcela, possiamo compiere questo cammino, se non altro possiamo provarci.
Perché possiamo offrire una vertiginosa intensità al gioco della vita. Alè…
Nessun commento:
Posta un commento