giovedì 9 giugno 2016

..e noi non ce ne accorgiamo...

Qual è la ragione per cui nella pratica meditativa si insiste sullo sviluppo di una consapevolezza continua, in grado di conoscere ciò che accade momento per momento? Le risposte sono molte, ce le sentiamo ripetere in tutte le salse, libri interi trattano l’argomento.

Vorrei qui riportare un aspetto del processo cognitivo che la metafisica buddhista descrive in dettaglio nei libri canonici dell’Abhidhamma che ci dice qualcosa sulle potenzialità della consapevolezza nel cogliere anche gli aspetti più sottili che hanno luogo nel flusso delle coscienze. Per non tormentarvi troppo semplifico al massimo, per quanto possibile risparmiandovi anche i nomi tecnici di ogni coscienza, anche se qualcuno ce lo infilo per i più precisini.

Quando ci muoviamo nel mondo intorno a noi lo facciamo guardando, udendo, odorando, gustando, toccando un oggetto attraverso i sensi. Grazie alla mente e alle sue potenzialità viviamo, creiamo il mondo interiore pensando, creando, ricordando, immaginando, sognando ad occhi aperti e chiusi.

 Mentre questo accade non c'è solo una coscienza a sperimentare l'oggetto attraverso la porta dei sensi di pertinenza, ma una serie o un processo composto di coscienze, ognuna delle quali svolge il suo compito e condiziona quella successiva, anche se non ce ne rendiamo conto. Ogni oggetto ha qualità proprie che entrano attraverso una delle porte sensoriali ed è sperimentato fino a configurare l’esperienza percettiva che ha infine luogo nella mente. L’oggetto dell’udito consiste in una serie di vibrazioni, incontra l’organo sensoriale che ne intercetta le qualità e le caratteristiche, una coscienza sensoriale le conosce, cessa e sorge poi una serie di coscienze che sorgono e passano, tutte all’interno della mente generando suoni, rumori, ma là fuori sempre vibrazioni sono, anche se poi noi sentiamo la 5° di Beethoven.

In altre parole, quando finisce la serie di coscienze relative alla porta sensoriale, l'oggetto viene poi sperimentato da coscienze derivanti e che fanno parte del processo mentale (interno della mente) che è un processo interno alla coscienza.
Le coscienze nei processi ‘sensi verso la mente’ e nei processi ‘interni alla mente’ nascono e svaniscono continuamente.

Normalmente non siamo in grado di sapere se in un processo di ‘senso verso la mente’ o in un ‘processo mentale interno’ ci siano coscienze proficue o non proficue derivate e generate in questo flusso di effimeri eventi. A causa dei condizionamenti accumulati da tempo immemorabile non conosciamo chiaramente le nostre diverse coscienze e non riconosciamo le nostre contaminazioni più sottili.

In un processo ‘senso verso la mente’ l'oggetto viene sperimentato in prima battuta da coscienze che non sono né belle né non belle, potremmo definirle neutre; esso viene poi conosciuto e elaborato da coscienze funzionali (kiriya) e coscienze risultanti (vipāka).

Le cinque coscienze sensoriali sono funzionali o kiriya, non sono cioè collegate alle belle radici (non-illusione, non-attaccamento e non-avversione) o radici non belle (illusione, attaccamento, avversione).
Le cinque paia di coscienze interne alla mente, ma collegate alle rispettive coscienze sensoriali sono invece risultanti o vipaka e possono essere collegate alle radici belle o non belle. 

Poi ci sono altre coscienze: che ricevono l'oggetto e che lo indagano, in particolare c’è una sequenza di 7 momenti di coscienza detta Javana, si tratta di sette istanti di coscienza che ripetutamente ‘attraversano’ l’oggetto, che a quel punto è già stato determinato dai processi di coscienza che si sono svolti in precedenza.
Le coscienze definite come javana sono risultanti e sono parte di un unico processo in una sequenza di sette dello stesso tipo. Se il primo Javana è bello-kusala, i successivi sei sono anche belli; Se il primo Javana è non-bello o akusala i successivi sei sono dello stesso tipo.

Dal momento che le coscienze nascono e svaniscono molto rapidamente è difficile conoscere singolarmente le diverse coscienze che si presentano e che compongono il processo nel suo insieme. Spesso possiamo anche non sapere quando abbiamo coscienze belle o non belle. Ad esempio, non è cosi semplice rendersi conto quando c'è attaccamento all'oggetto, quando vi è l'avversione verso di esso, o quando vi è l'ignoranza sulla sua vera natura. Studiando il Dhamma impariamo a conoscere le nostre coscienze in dettaglio, giungendo a conoscere le nostre più sottili contaminazioni. Perchè ignorare la presenza di coscienze non belle è pericoloso. Se non sappiamo quando sono presenti continueremo ad accumularne e pian piano ci ritroveremo con un caratteraccio insopportabile.

Chissà se sono riuscito a darvi una idea del perché sia utile addestrarsi allo sviluppo di una presenza mentale acuta, penetrante e in grado di cogliere i processi che si susseguono velocissimi e incessanti nel continuum mentale, ci sono coscienze non belle là in mezzo che svolgono un lavoro oscuro, le chiamiamo contaminazioni latenti, e lavorano, lavorano, lavorano e noi non ce ne accorgiamo….

5 commenti:

  1. Grazie Giancarlo, è un articolo molto chiaro. Mi sa che dovrò decidermi a studiare l'Abhidhamma....
    A presto, Gloria

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  2. Ciao Gloria,
    Grazie di cuore, sono contento che tu abbia trovato chiaro l'articolo, meno male.. sono sempre titubante nel postare argomenti relativi all'abhidhamma perchè i contenuti sono spesso complicati e pieni di classificazioni, considera che un singolo processo sensoriale/cognitivo è composto da 17 momenti di coscienza, qui nel post ci sono andato leggero, in bocca al lupo con lo studio..;-))

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  3. Gentilissimo Giancarlo,
    ringraziandoti ti invito a non smettere la pubblicazione di post "didattici".
    Di fronte agli argomenti del Dhama sono certo di aver di aver compreso tutto quanto a fondo, ma quel poco mi appare molto saggio...
    Grazie ancora
    Federico

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  4. Mi accodo ai ringraziamenti per poter leggere scritti di Dhamma.
    E vorrei chiedere, per capire la velocità dei processi, quanto dura un istante/momento di coscienza rapportato ai secondi?
    Mela

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    1. Ciao Mela,
      grazie a te per essere passata di qui, ti rispondo qui in maniera molto sintetica ripromettendomi di trattare più organicamente il tema in un prossimo post.
      Quindi: Secondo l’Abhidhamma nei processi di conoscenza della sfera sensoriale non vi è nessun processo mentale che non veda uno specifico tipo di coscienza che sorge, si lega a qualche oggetto, fisico o mentale, interno od esterno, lo sperimenta e poi cessa assieme a quello specifico oggetto.
      Il tempo limite di una qualche coscienza è detto un ‘momento di pensiero’. La velocità della successione dei momenti di pensiero è appena comprensibile dalla conoscenza umana. I testi affermano che nella breve durata di un lampo, o di un batter di ciglia, possono sorgere e morire miliardi di momenti di pensiero.
      Ogni momento di pensiero consiste di tre istanti minori (khama). Essi sono uppada (sorgere o genesi), thiti (staticità o sviluppo) e bhanga (cessazione o dissoluzione).
      Se dopo aver letto questa risposta ti viene in mente che la faccenda è complicata, hai ragione..;-))

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