Qual è la ragione per cui nella pratica meditativa si
insiste sullo sviluppo di una consapevolezza continua, in grado di conoscere
ciò che accade momento per momento? Le risposte sono molte, ce le sentiamo
ripetere in tutte le salse, libri interi trattano l’argomento.
Vorrei qui riportare un aspetto del processo cognitivo che
la metafisica buddhista descrive in dettaglio nei libri canonici dell’Abhidhamma
che ci dice qualcosa sulle potenzialità della consapevolezza nel cogliere anche
gli aspetti più sottili che hanno luogo nel flusso delle coscienze. Per non tormentarvi troppo semplifico al massimo, per
quanto possibile risparmiandovi anche i nomi tecnici di ogni coscienza, anche se qualcuno ce lo infilo per i più precisini.
Quando ci muoviamo nel mondo intorno a noi lo facciamo
guardando, udendo, odorando, gustando, toccando un oggetto attraverso i sensi.
Grazie alla mente e alle sue potenzialità viviamo, creiamo il mondo interiore pensando,
creando, ricordando, immaginando, sognando ad occhi aperti e chiusi.
Mentre questo accade non c'è solo una coscienza a
sperimentare l'oggetto attraverso la porta dei sensi di pertinenza, ma una
serie o un processo composto di coscienze, ognuna delle quali svolge il suo
compito e condiziona quella successiva, anche se non ce ne rendiamo conto. Ogni
oggetto ha qualità proprie che entrano attraverso una delle porte sensoriali
ed è sperimentato fino a configurare l’esperienza percettiva che ha infine
luogo nella mente. L’oggetto dell’udito consiste in una serie di vibrazioni, incontra
l’organo sensoriale che ne intercetta le qualità e le caratteristiche, una
coscienza sensoriale le conosce, cessa e sorge poi una serie di coscienze che
sorgono e passano, tutte all’interno della mente generando suoni, rumori, ma là fuori sempre vibrazioni sono, anche se poi noi sentiamo la 5° di Beethoven.
In altre parole, quando finisce la serie di coscienze
relative alla porta sensoriale, l'oggetto viene poi sperimentato da coscienze
derivanti e che fanno parte del processo mentale (interno della mente) che è un
processo interno alla coscienza.
Le coscienze nei processi ‘sensi verso la mente’ e nei processi ‘interni alla mente’ nascono e svaniscono continuamente.
Normalmente non siamo in grado di sapere se in un processo di ‘senso verso la mente’ o in un ‘processo mentale interno’ ci siano coscienze
proficue o non proficue derivate e generate in questo flusso di effimeri eventi. A causa dei
condizionamenti accumulati da tempo immemorabile non conosciamo chiaramente le
nostre diverse coscienze e non riconosciamo le nostre contaminazioni più
sottili.
In un processo ‘senso
verso la mente’ l'oggetto viene sperimentato in prima battuta da coscienze
che non sono né belle né non belle, potremmo definirle neutre; esso viene
poi conosciuto e elaborato da coscienze
funzionali (kiriya) e coscienze risultanti
(vipāka).
Le cinque coscienze
sensoriali sono funzionali o kiriya, non sono cioè collegate alle belle radici (non-illusione,
non-attaccamento e non-avversione) o radici non belle (illusione, attaccamento,
avversione).
Le cinque paia di coscienze interne alla mente, ma collegate alle rispettive coscienze
sensoriali sono invece risultanti o vipaka
e possono essere collegate alle radici belle o non belle.
Poi ci sono altre coscienze:
che ricevono l'oggetto e che lo indagano, in particolare c’è una sequenza di 7
momenti di coscienza detta Javana, si
tratta di sette istanti di coscienza che ripetutamente ‘attraversano’ l’oggetto, che a quel punto è già stato determinato dai processi di coscienza che si
sono svolti in precedenza.
Le coscienze definite come javana sono risultanti e sono parte di un unico processo in una
sequenza di sette dello stesso tipo. Se il primo Javana è bello-kusala, i successivi sei sono anche belli; Se il
primo Javana è non-bello o akusala i
successivi sei sono dello stesso tipo.
Dal momento che le coscienze nascono e svaniscono molto
rapidamente è difficile conoscere singolarmente le diverse coscienze che si
presentano e che compongono il processo nel suo insieme. Spesso possiamo anche
non sapere quando abbiamo coscienze belle o non belle. Ad esempio, non è cosi semplice rendersi conto quando c'è attaccamento all'oggetto, quando vi è l'avversione
verso di esso, o quando vi è l'ignoranza sulla sua vera natura. Studiando il
Dhamma impariamo a conoscere le nostre coscienze in dettaglio, giungendo a conoscere
le nostre più sottili contaminazioni. Perchè ignorare la presenza di coscienze
non belle è pericoloso. Se non sappiamo quando sono presenti continueremo ad
accumularne e pian piano ci ritroveremo con un caratteraccio insopportabile.
Grazie Giancarlo, è un articolo molto chiaro. Mi sa che dovrò decidermi a studiare l'Abhidhamma....
RispondiEliminaA presto, Gloria
Ciao Gloria,
RispondiEliminaGrazie di cuore, sono contento che tu abbia trovato chiaro l'articolo, meno male.. sono sempre titubante nel postare argomenti relativi all'abhidhamma perchè i contenuti sono spesso complicati e pieni di classificazioni, considera che un singolo processo sensoriale/cognitivo è composto da 17 momenti di coscienza, qui nel post ci sono andato leggero, in bocca al lupo con lo studio..;-))
Gentilissimo Giancarlo,
RispondiEliminaringraziandoti ti invito a non smettere la pubblicazione di post "didattici".
Di fronte agli argomenti del Dhama sono certo di aver di aver compreso tutto quanto a fondo, ma quel poco mi appare molto saggio...
Grazie ancora
Federico
Mi accodo ai ringraziamenti per poter leggere scritti di Dhamma.
RispondiEliminaE vorrei chiedere, per capire la velocità dei processi, quanto dura un istante/momento di coscienza rapportato ai secondi?
Mela
Ciao Mela,
Eliminagrazie a te per essere passata di qui, ti rispondo qui in maniera molto sintetica ripromettendomi di trattare più organicamente il tema in un prossimo post.
Quindi: Secondo l’Abhidhamma nei processi di conoscenza della sfera sensoriale non vi è nessun processo mentale che non veda uno specifico tipo di coscienza che sorge, si lega a qualche oggetto, fisico o mentale, interno od esterno, lo sperimenta e poi cessa assieme a quello specifico oggetto.
Il tempo limite di una qualche coscienza è detto un ‘momento di pensiero’. La velocità della successione dei momenti di pensiero è appena comprensibile dalla conoscenza umana. I testi affermano che nella breve durata di un lampo, o di un batter di ciglia, possono sorgere e morire miliardi di momenti di pensiero.
Ogni momento di pensiero consiste di tre istanti minori (khama). Essi sono uppada (sorgere o genesi), thiti (staticità o sviluppo) e bhanga (cessazione o dissoluzione).
Se dopo aver letto questa risposta ti viene in mente che la faccenda è complicata, hai ragione..;-))