L’idea buddhista sulla presenza di uomini e donne su questo
pianeta ha una sua originalità. Potremmo descriverla sommariamente in questo
modo: da tempo immemorabile un flusso di coscienza e materia sorge e passa
istante dopo istante; ogni istante di coscienza sorge, conosce e sperimenta
qualcosa e cessa assieme al declinare di ciò che è stato conosciuto e
sperimentato. Pensieri, oggetti dei sensi, emozioni, sensazioni fisiche e
mentali appaiono nell’orizzonte della coscienza, vengono percepiti, conosciuti,
sperimentati e, con il loro tramontare, cessa la coscienza congiunta a quegli
eventi. Per fare tutta questa roba qui, che non sta mai ferma, ci vuole un corpo…
ed eccoci qua.
Poi nell’istante della morte di
un individuo e in base alle condizioni in qui si trova il flusso di coscienza in
quel momento, ecco che avviene il passaggio, l’istante di coscienza
successivo sorge in un nuovo corpo. Non è detto che sia umano, non è detto che
sia materiale, non è detto che quel passaggio avvenga, come nel caso di un
risvegliato che, come dalle parole del Buddha: “ha compiuto ciò che andava
compiuto”.
Perlomeno questa è l’idea che mi sono fatto io della
faccenda.
Il corpo è rupa
(materia) e la materia non conosce nulla, è nāma
(la mente, la coscienza) il fenomeno che conosce gli oggetti, che sperimenta,
soffre e gioisce, s’innamora e odia, crea e distrugge. Quando parliamo di nāma, parliamo del fenomeno mentale nel
suo complesso, quando invece cerchiamo di definire i vari aspetti di questo
fenomeno nelle sue infinite manifestazioni parliamo del citta.
Riporto qui un estratto da “Abhidhamma e vita quotidiana” di
Nina van Gorkom:
I nāma e i rūpa sono tipi diversi di realtà: i nāma
sono fenomeni mentali, mentre i rūpa sono fenomeni fisici. Se non li
distinguiamo e non impariamo quali sono le loro caratteristiche, continueremo a
scambiarli per un sé. Per esempio, l’udire è un nāma: non ha una forma o una
configurazione, non ha orecchie; è diverso dal senso dell’udito, ma
quest’ultimo è per l’udire una condizione necessaria. Il nāma che ode
sperimenta il suono, mentre il senso dell’udito e il suono differiscono da
esso, perché sono rūpa e non sperimentano alcunché. Se non capiamo che l’udire,
il senso dell’udito e il suono sono realtà completamente diverse l’una
dall’altra, continueremo a pensare che è il sé a udire.
Il
Visuddhimagga così spiega questo tema:
Il nāma è privo di forza e non può manifestarsi
autonomamente. Esso non mangia, non beve, non parla e non adotta alcuna
postura. Anche il rūpa è privo di forza e non può manifestarsi autonomamente.
Esso non desidera mangiare, non desidera bere, non desidera parlare e non desidera
adottare alcuna postura. E tuttavia il nāma si manifesta grazie al rūpa, mentre
il rūpa si manifesta grazie al nāma. Quando il nāma desidera mangiare, desidera
bere, desidera parlare e desidera adottare una postura, il rūpa mangia, beve,
parla e adotta una postura...
Più oltre nel testo leggiamo queste parole:
Come gli esseri umani, grazie a una nave, viaggiano
sull’oceano, così il complesso del nāma, grazie al rūpa,si manifesta. Come la
nave, grazie agli esseri umani,viaggia sull’oceano, così il complesso del rūpa,
grazie al nāma si manifesta. Gli uomini e le navi, aiutandosi reciprocamente,
viaggiano sull’oceano. Così il nāma e il rūpa dipendono l’uno dall’altro.
Potremmo
dire che il nāma è la mente nel suo
complesso per come ce la immaginiamo nel senso comune in occidente. Il
buddhismo però va oltre nella sua analisi della realtà e ci dice: attenzione le
cose non sono cosi semplici! Ci sono due tipi di nāma condizionato:
- il citta (coscienza)
- i cetasika (fattori mentali che sorgono insieme alla coscienza).
Quello
che mi interessa evidenziare in questo post ha però a che fare con i molteplici
aspetti nei quali coscienza e fattori mentali si configurano nello svolgersi
delle esperienze di vita di noi umani. In particolare il contributo che la consapevolezza meditativa fornisce al sistema fattori mentali/coscienza.
In
mancanza di quella attenzione e presenza mentale sottolineate dal Buddha come
necessarie e propedeutiche alla liberazione dalla sofferenza, le coscienze e i
fattori mentali si susseguono condizionati dalle illusioni di quella visione
ego-centrata che colloca ogni individuo al centro del campo dell’esperienza. La
funzione dell'attenzione e della presenza mentale è cruciale per il
riconoscimento delle qualitá etiche degli stati di coscienza in base ai quali
vengono prese le decisioni e compiute le azioni del nostro vivere quotidiano.
Vi sono quattro aspetti nella presenza mentale che
Nyanaponyka Thera sottolinea e che costituiscono le sorgenti principali del
potere della consapevolezza:
- la funzione di mettere ordine e di nominare-etichettare, catalogare
- è non-violenta, non-coercitiva
- possiede la capacità di fermarsi e rallentare
- la direzionalità della visione conferita dalla nuda attenzione
In questa fase inizia il processo di purificazione, durante
la meditazione gli oggetti della presenza mentale sono ora le formazioni e le
caratteristiche universali, che si manifestano con le loro qualità oppressive e
insostanziali e vacue, l'esperienza assume l'andamento di un flusso in costante
mutamento di fenomeni fisici e mentali. Ed è in questo territorio di esperienze
che inizia a crescere e rafforzarsi la saggezza.
Sono la saggezza e la chiara visione sulla vera natura della
realtá dei fenomeni che forniscono la potenzialitá alla mente per il suo salto
quantico finale verso la trascendenza.
Compiendo quel salto si apre il portale che, nel suo
compimento finale, lo stato di completa liberazione, porta alla fine di quel
flusso che si svolge da tempo immemorabile; coscienza dopo coscienza, esistenza
dopo esistenza, pensiero dopo pensiero e azione dopo azione, giungono al termine
e.....Zac!
Non si ritorna più….
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